Storia del campo di Lungo Stura Lazio, Torino, 2000-2018
Vorremmo che questo sito diventasse un luogo della memoria per chi ha vissuto in Lungo Stura Lazio e ha cercato di resistere agli sgomberi forzati e alla distruzione del campo. Allo stesso tempo speriamo che il sito e la mappa disegnata possano diventare un percorso di scoperta per chi non ha mai conosciuto quella realtà, per chi non è mai entrato in Lungo Stura, sospendendo per un momento tutti i pregiudizi, luoghi comuni e stereotipi che strutturalmente definiscono e stigmatizzano le popolazioni rom e i campi ghetto in cui sono costrette a vivere, in particolare in Italia.
Per questo motivo ci interessa far capire a chi vuole entrare in questa storia che sono gli stessi autori e protagonisti dei contributi qui presentati che con dignità hanno deciso di registrare vari momenti di vita nel campo affrontando situazioni durissime di violenza e di scontro così come altre di festa e condivisione.
È una storia grande e importante e per questo vogliamo condividerla.
Questa storia è raccontata attraverso immagini, suoni e documenti raccolti da Jean Diaconescu, che ha vissuto per anni in quel campo, e da altri abitanti di Lungo Stura. Questo archivio girato dall’interno, dalla gente del campo, si intreccia con i materiali girati da due persone esterne che non vivevano nel campo, Manuela Cencetti e Stella Iannitto, legate a quel luogo e ai suoi abitanti da vincoli di affetto e solidarietà. A partire dal 2012 avevano realizzato dei laboratori di formazione audiovisuale in due campi di Via Germagnano e avevano già conosciuto il campo di Lungo Stura.
Vogliamo specificare che questo lavoro è un progetto creativo di condivisione di materiali, testimonianze e contenuti e che in nessun modo parla a nome degli abitanti di Lungo Stura Lazio o della popolazione rom.
La narrazione ufficiale sullo sgombero forzato e la distruzione di un campo rom è nota da sempre.
È rimasta invece inascoltata e inaccessibile la versione di Jean e delle altre persone che hanno vissuto e resistito in quel luogo per tanto tempo.
Jean, che ha raccolto la maggior parte dell’archivio mettendo insieme i suoi filmati e quelli di altri abitanti del campo, vuole chiarire alcuni punti come premessa di questo lavoro:
“Non sono rom, sono molto legato alla gente rom, voglio che esca fuori un po’ di verità rispetto a tutto quello che è successo e a come vengono trattate le persone che vivono nei campi.”
Da qui La versione di Jean, e anche quella di altri e di altre che risulta decisamente differente dalle narrazioni prodotte in questi anni dal Comune di Torino, dai suoi funzionari, dalla stampa e dalle televisioni locali, dalla questura, dalla polizia municipale, da cooperative e associazioni che hanno realizzato il progetto “La città possibile” e da tutta una vasta umanità di operatori sociali, ricercatori e ricercatrici dell’accademia esperti di popolazione “rom” così come artisti opportunisti che per lungo tempo hanno tessuto le lodi di un’operazione di razzismo differenzialista.
Dalla metà degli anni ’90 iniziano a giungere a Torino molte persone provenienti dalla Romania che decidono di emigrare. Secondo alcuni abitanti del campo il primo insediamento informale di Lungo Stura Lazio risale all’anno 2000 ma è a partire dal 2002 che aumentano le presenze, quando l’entrata in vigore dell’Area Schengen garantisce, in teoria, la libera circolazione delle persone tra i paesi dell’Unione Europea.
Per spiegare la narrazione della Procura di Torino sull’origine “umanitaria” di questo decreto (del maggio 2013) è necessario fare riferimento alle dichiarazioni del GIP Brogna riportate in un articolo de La Stampa a marzo 2015 quando Comune, Prefettura e Procura risultavano seriamente preoccupate per le sorti dello sgombero di Lungo Stura Lazio sospeso dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) per una serie di violazione dei diritti dei suoi abitanti rimasti senza alcuna alternativa abitativa.
Nell’articolo citato – “Al campo nomadi si rischia una nuova occupazione. Dopo la sospensiva decisa dalla Corte di Strasburgo interviene la Procura” – ecco che il GIP Brogna cita “le preoccupazioni di carattere umanitario” per il campo rom di Lungo Stura Lazio la cui occupazione di fatto è stata “tollerata” per almeno 15 anni: malgrado le preoccupazioni l’area viene sequestrata solo quando i fondi del Ministero degli Interni (5.193.167,26 euro) sono sicuri. Prima nessuno aveva manifestato grandi preoccupazioni per una zona altamente alluvionale.
E’ sufficiente osservare le date delle varie delibere e decreti di sequestro per capire come si sia cercato di tenere (apparentemente) separate le azioni di Procura e Questura da quelle di Comune e Prefettura:
Dicembre 2012 viene approvata la convenzione tra Prefettura e Comune e viene istituito il Comitato di Indirizzo, proprio in questa delibera viene sancita la destinazione delle somme accreditate dal Ministero dell’Interno pari a 5.193.167,26 euro.
Aprile 2013: delibera in cui vengono approvate le linee progettuali del Comitato di Indirizzo in mmodo da poter successivamente emanare i bandi, tra cui quello de “La città possibile”
Maggio 2013 viene emanato il decreto di sequestro preventivo dell’area da parte del GIP
In realtà risulta più che evidente che la disposizione di sequestro preventivo del terreno da parte del GIP rientra pienamente all'interno delle logiche del progetto“La città possibile” e garantisce in questo modo al Comune di Torino l’appoggio della forza pubblica in ogni fase progettuale, calendarizzando sgomberi forzati continui al fine di svuotare il campo entro i tempi previsti dal progetto.
Link all’articolo de La Stamapa, 21 marzo 2015
Link all’analisi dettagliata dei documenti e dei tempi di sequestro dell’area - pagina Gattonero Gattorosso
https://www.facebook.com/notes/742729282508617/?__tn__=HH-R
Un passaggio del comunicato redatto Assemblea abitanti del campo di Lungo Stura Lazio le sera del 15 marzo 2015:
[...] “Nel campo di Lungo Stura fino all'anno scorso vivevano oltre 1.000 persone. Siamo arrivati in Italia 15 anni fa e abbiamo sempre vissuto in baracche, non per scelta, ma perchè non possiamo permetterci di pagare un affitto. In Romania abbiamo sempre vissuto in case, che lo Stato garantiva a tutti durante il regime di Ceaușescu, nonostante il razzismo contro i Rom esistesse anche allora. Siamo venuti in Italia perchè dopo il 1989 la situazione economica è diventata molto difficile: hanno chiuso miniere, fabbriche e collettivizzazioni dove molti di noi lavoravano, mentre le attività che alcuni gruppi rom svolgevano da secoli non hanno trovato spazio nell'economia capitalista. Siamo diventati disoccupati e senza reddito.
Siamo venuti in Italia per cercare lavoro e qui abbiamo visto che i Rom vivevano in campi, mentre l'accesso alle case popolari era praticamente impossibile. Il mercato degli affitti di Torino, poi, è inaccessibile per chi come noi svolge lavori sottopagati che non ci permettono nemmeno di sfamarci. Così ci siamo adattati alla situazione, che è sempre stata molto dura, perchè non eravamo abituati a vivere in baracche, senza luce né acqua. Il campo di Lungo Stura si è velocemente ingrandito perchè molte persone scappavano qui dopo che polizia e vigili le sgomberavano da altre zone. Prima che la Romania entrasse nell'Unione Europea i poliziotti venivano spesso nei campi, all'alba, per fare retate e spaccare tutto: ci prendevano, ci portavano in questura e spesso ci chiudevano nei CIE o ci mettevano direttamente sugli aerei per espellerci. [...]”
Link al comunicato scritto con l’Assemblea degli abitanti di Lungo Stura Lazio e Gattonero Gattorosso
Vivere in Barriera tra baracche, militari e speculazioniUna serata informativa per la città e per il quartiere per raccontare tutto quello che era accaduto nei mesi precedenti ai danni degli abitanti di Lungo Stura Lazio, ormai in preda a continue operazioni di sgombero e alla enorme speculazione messa in atto dal progetto “La città possibile” sulla pelle della popolazione “rom”. Un progetto che non aveva mai avuto come obiettivo il “superamento dei campi” o “iniziative a favore della popolazione rom” ma che garantiva al Comune l’appoggio della forza pubblica e il monopolio nella gestione delle operazioni violente volte a distruggere il campo e a sfollare gli abitanti in altri campi della città senza alcuna alternativa abitativa.
Nell’esperimento di housing sociale (negli appartamenti assegnati a famiglie fuoriuscite dal campo non ci sono i bagni e non c’è il gas) arrivano le prima notifiche di sfratto. Anche in queste sistemazioni “temporanee” alcuni nuclei non riescono a pagare gli affitti a Giorgio Molino e i fondi delle associazioni sono già terminati.
Circa 200 abitanti del campo di Lungo Stura Lazio sotto sgombero, i nuclei sistemati nei social housing di corso Vigevano e in altre “sistemazioni temporanee” già minacciati di sfratto, oggetto delle operazioni più o meno violente del progetto “La città possibile”, danno vita ad un corteo per le strade del centro di Torino. Moltissimi sono gli interventi di uomini, donne, bambini e bambine che prendono parola nel corso della manifestazione cittadina e che raccontano davanti al Comune, alla Prefettura, alla sede della RAI cosa è loro capitato con l’operazione speculativa de “La città possibile”: raccontano come sono stati trattati negli anni da istituzioni, forze dell’ordine, associazioni e cooperative complici del progetto.
E’ importante sottolineare che anche i “meritevoli”, coloro che seguivano le regole e rispettavano il contratto di negoziazione con le organizzazioni del progetto per “emergere dall’illegalità” firmando il famoso “patto di emersione”, non hanno mai potuto fare la residenza: la loro condizione transitoria in “case” è restata pertanto identica a quella del periodo in cui vivevano nel campo e cioé senza documenti, senza residenza, senza tessera sanitaria, senza la possibilità di avere un contratto di lavoro regolare.
Un’operazione costata circa 5 milioni di euro, volta al “superamento dei campi nomadi” ma che nei fatti si è rivelato uno sgombero forzato senza alcuna alternativa abitativa per centinaia di persone che vivevano nella “baraccopoli” più grande d’Europa e che ha solo moltiplicato e rafforzato la logica dei campi, obbligando le persone sfollate a cercare nuove sistemazioni. Il progetto inoltre non è mai stato sottoposto ad un monitoraggio indipendente e ad oggi non è mai stato rivelato il costo dello sgombero manu militari del campo.
Comunicato Gattonero Gattorosso
Foto del corteo del 12 ottobre 2015
Video del corteo del 12 ottobre – InfoAUT Video
Nuovo sgombero forzato all’alba da parte delle forze dell’ordine, senza alcun preavviso né notifica scritta, per centinaia di persone che ancora vivono nel campo rimaste fuori dal progetto “La città possibile”. Le ruspe del Comune distruggono decine di baracche che per molte persone hanno rappresentato una casa per tanti anni lasciando gli abitanti del campo per strada senza alcuna alternativa abitativa.
Alcuni passaggi dall’appello pubblico:
“In una domenica di Novembre un gruppo uomini, donne e bambini è entrato nel cortile dell’ex caserma “La Marmora” in via Asti ed ha occupato una palazzina vuota. L'ha occupata perché il posto dove abitavano non c’è più. Erano baracche lungo il fiume, in un posto senza acqua né luce, tanta immondizia e topi. Non un bel posto, ma l’unico che potessero permettersi.
[...] Se vi alzate quando è ancora buio, vedrete le persone che abitavano quelle baracche cercare nei cassonetti qualcosa da vendere il sabato al Balon, la domenica nel mercato vicino alle ex Poste. Altri raccolgono metalli: sono l’ultimo anello di una catena di riciclo dove gli ultimi lavorano molto per il profitto di pochi. Qualche donna fa la badante nelle case.
[...] Ancora oggi ben pochi sanno che rom e sinti facevano parte del programma di sterminio nazista, perché considerati “naturalmente” devianti. Cinquecentomila rom e sinti finirono la loro vita nelle camere a gas. In Romania almeno venticinquemila furono deportati durante il regime di Antonescu. La violenza nei loro confronti non hai è mai stata oggetto di una rielaborazione culturale collettiva.
Le persone che oggi vivono in via Asti sono immigrate dalla Romania. Lì vivevano in case, non sono “nomadi”, ma con il passaggio ad un'economia di mercato selvaggia dopo il 1989 ed a causa della proliferazione di rigurgiti razzisti mai sopiti, sono stati/e le prime a perdere il lavoro e la possibilità di sopravvivere in una società sempre più marcata da disuguaglianze. In Italia, però, non hanno trovato un futuro migliore, ma solo “campi”, sfruttamento e razzismo.
Il testo integrale dell'appello
All’alba del 12 novembre 2015 la Questura di Torino sgombera ancora una volta, con un enorme dispiegamento di mezzi e di agenti, le circa 90 persone rom e non rom che si trovano all’interno della ex-caserma di Via Asti e che prima vivevano in Lungo Stura Lazio. L’operazione è particolarmente odiosa perché dettata da una logica ancora una volta di razzismo istituzionale. Solo con l’arrivo dei temibili “rom” dal campo di Lungo Stura la caserma di Via Asti, occupata sei mesi prima dai giovani di Terra del Fuoco, diviene immediatamente intollerabile. Nei giorni precedenti allo sgombero gli e le occupanti di Via Asti Est vengono costantemente cacciati fuori da bar, supercati e negozi della zona perché “rom”, vengono insultati dagli abitanti del quartiere. Alcuni vicini, residenti di fronte alla caserma, entrano nell’occupazione per imprecare contro i “rom” terrorizzati che il valore dei loro immobili e appartamenti nella precollina torinese possa scendere perché in prossimità di una occupazione di “zingari”. Altri residenti minacciano di attivare i propri legali per far causa del Comune di Torino per eventuali danni rispetto alla rendita degli immobili di loro proprietà. Ecco che Comune e Questura in pochissimi giorni organizzano uno sgombero in grande stile buttando ancora una volta per strada gli ex abitanti di Lungo Stura Lazio insieme ai democratici e bianchissimi soci di “Terra del Fuoco” fino a poco tempo prima lodati da partiti di sinistra, associazioni varie e dal consiglio comunale.
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Due ragazzi che vivevano nel campo di Lungo Stura Lazio e che avevano partecipato all’occupazione della caserma di Via Asti dopo essere stati identificati vengono portati direttamente al CIE in corso Brunelleschi in attesa di espulsione
Le ultime famiglie resistenti al razzismo delle istituzioni torinesi vengono buttate per strada nel corso di due sgomberi nella stessa mattina. La maggior parte delle persone senza alcuna alternativa abitativa e arbitrariamente escluse dal progetto “La città possibile” cerca rifugio e sistemazione negli altri campi di Torino nord e nel resto della città. L’insediamento “informale” di Via Germagnano nel corso del 2015 raddoppierà la sua popolazione mentre il Comune si fa vanto di aver “svuotato” quello di Lungo Stura Lazio.
Nel corso degli ultimi anni (2016 – 2019) altri insediamenti “formali”, “informali” e “semiautorizzati” come quello di Corso Tazzoli, del ponte di Corso Vercelli, di alcuni settori di Via Germagnano e altri, saranno nuovamente oggetto di sgomberi coatti, senza preavviso, senza alcuna notifica e senza alternative abitative. Il Comune con l’appoggio della forza pubblica e dei sequestri giudiziari delle aree “abusive” – sequestri ad hoc ancora una volta serviti dalla Procura di Torino con incredibile tempismo rispetto alle operazioni calendarizzate di sgombero – provocano il nomadismo forzato di centinaia di persone sul territorio torinese, devastando in questo ingranaggio di violenza e razzismo istituzionale anche i minori - che frequentano regolarmente le scuole vicine ai “campi rom” – e costringono questa parte di popolazione povera, rom e non rom, a scappare continuamente, a spostarsi, cercando una nuova e precaria sistemazione in attesa di un nuovo sgombero.
Nella primavera 2017 viene presentanto un nuovo ricorso per fermare lo sgombero di Via GermagnanoNei primi mesi del 2016 il Comune di Torino recinta con chilometri di jersey tutta l’area sgomberata di Lungo Stura Lazio per evitare nuove occupazioni dell’area. Sopra i jersey viene posta una griglia d’acciaio alta alcuni metri. Intanto tonnellate di resti delle baracche distrutte dagli sgomberi del Comune vengono inglobate dalla vegetazione del lungo Stura e nessuno “restituirà l’area alla città” come promesso a più riprese dalla vicesindaca Tisi.
Dalla fine del 2016 il campo “informale” di Via Germagnano è sotto sgombero, campo in cui vivono centinaia di persone buttate in strada con lo sgombero forzato di Lungo Stura Lazio. Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 l’insediamento “informale” di via Germagnano raddoppia la popolazione.
La maggior parte delle persone che trovano una sistemazione in Via Germagnano non erano mai state inserite nel progetto “La città possibile” ed non hanno mai avuto, in nessuna fase del progetto, alcuna alternativa abitativa se non autocostruirsi una nuova baracca o affittarne una vuota in un altro campo.
Nel 2017 l’avvocato Gianluca Vitale ha fatto ricorso presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per chiedere che venga sospesa l'ordinanza di sequestro dell'area di Via Germagnano e che vengano identificate soluzioni abitative alternative. Anche in questo caso, come per Lungo Stura Lazio, era necessario un sequestro giudiziario dell’area e qui compare la puntuale inchiesta della Procura di Torino che ipotizza “inquinamento ambientale doloso per i fumi nocivi causati dai continui roghi all'interno del campo che avvelenerebbero l'aria e anche le falde acquifere.” Il PM Padalino, titolare di quell’inchiesta, è attualmente sotto inchiesta per una serie di favori ricevuti.
“L'avvocato nel ricorso insiste sul fatto che non sono state fornite ai rom alcune alternative abitative bloccando di fatto le loro abitudini quotidiane: per alcune settimane i genitori non hanno più portato i figli a scuola "temendo che una volta rientrati al campo le loro abitazioni fossero state distrutte". (Da La Repubblica del 5 aprile 2017)
Articoli e analisi sulla storia del “campo” di Lungo Stura Lazio e sul progetto speculativo “La città possibile”
Nuovo ricorso contro lo sgombero di Via Germagnano
Reportage sull sgombero di Via Germagnano e altri campi nel torinese
Articolo 5
Continuano scandali e polemiche intorno al progetto “La città possibile” e le fantasiose dichiarazioni di esponenti dell’attuale giunta comunale su dove siano andati i “rom” di Torino. Non mancano episodi di violenza e tentativi di omicidio contro famiglie rom sgomberate, che vivono in aree sosta.
Jean venne a casa mia circa un anno dopo la distruzione definitiva del Platz, nome con cui i suoi abitanti chiamavano il campo informale di Lungo Stura Lazio. Aveva con sé una serie di schede di memoria e un hard disk dove erano contenuti tutti i filmati che aveva accumulato nel corso delle varie operazioni di polizia e di sgombero tra il 2014 e 2016. Aveva paura di perdere qualche file e mi chiese in quell’occasione di unire tutti i nostri lavori video, compresi quelli miei e di Stella Iannitto, per realizzare insieme un “grande” film che raccontasse la verità su quel campo e sulla sua fine. Da qui nasce “La Versione di Jean”. Jean ha costruito questa memoria visuale con i filmati registrati con il suo telefono e con quelli realizzati da altri abitanti del campo dando vita a un ampio archivio di voci e immagini che restituisce una versione completamente differente da quella narrata dalle istituzioni che per anni hanno agito in quel campo e che poi lo hanno distrutto.
Abbiamo partecipato al bando “Non solo case” lanciato da CODICI e grazie alla borsa che ci è stata assegnata abbiamo potuto lavorare in modo più efficace sul materiale d’archivio e sviluppare linee di comunicazione più aperte rispetto all’idea iniziale di film documentario. Questo percorso è nato con il sostegno di CODICI e con una elaborazione condivisa di cosa avremmo potuto creare e comunicare insieme.
Il nostro obiettivo di riuscire a realizzare “La Versione di Jean” come film documentario rimane prioritario e sicuramente il lavoro contenuto in questo spazio rappresenta un’elaborazione importante e necessaria dei contenuti dell’archivio e delle diverse voci che lo compongono. La relazione con CODICI ci ha permesso di ampliare la nostra ricerca e riflessione rispetto al progetto iniziale. Il lavoro dedicato alla costruzione del sito ci ha portato nuove visioni rispetto alla realizzazione del film e rispetto alla comunicazione attorno ad alcuni temi che per noi restano centrali. Soprattutto ci ha dato la possibilità di far conoscere un’altra versione sulla storia di un luogo e dei suoi abitanti, versione che solitamente rimane inascoltata e inaccessibile rispetto a quella dominante.
“Lungo Stura Lazio era come un piccolo villaggio che si è formato in 15 anni dove sono nati i bambini e loro sapevano che quello era il loro posto, che c’erano le loro case. Erano nati in quelle condizioni e mai nessuno si è interessato alla loro situazione. Nessuno si è mai interessato neppure alle donne che vivevano lì o ai ragazzi giovani di 15-16 anni, ai ragazzini. Nessuno si è mai interessato nemmeno ai ragazzi e agli uomini che uscivano alle 3 del mattino per andare a cercare qualcosa nei bidoni. Con quello che trovavano nei bidoni si guadagnavano la vita, per esempio se trovavano le pentole in acciaio le portavano al centro di raccolta oppure trovavano altre cose che poi portavano al Balon per venderle, per mantenersi la vita.”
Jean
Il campo di Lungo Stura Lazio si trovava nella periferia nord di Torino. Era un rettangolo di terra limitato dal fiume Stura, due ponti ad alta densità di traffico e da una barriera di siepi e immondizia sul quarto lato, quello del campo che confinava con la strada asfaltata – Lungo Stura Lazio – percorsa ogni giorno da migliaia di veicoli. Un luogo che ha ospitato per circa 15 anni più di 2.000 persone migranti e povere che non potevano avere altro che una baracca e di cui oggi non rimane più nulla. Nel 2013 la Città di Torino fu in grado di sbloccare oltre 5 milioni di euro per un progetto chiamato “La città possibile” che avrebbe dovuto promuovere inclusione sociale per la popolazione rom e che si porta ancora dietro una scia di scandali, inchieste giudiziarie e promesse non mantenute. Oggi di quel luogo non rimane più nulla. Resta una rigogliosa vegetazione cresciuta su una montagna di macerie corrispondente ai circa 40.000 metri quadrati su cui si estendeva il campo raso al suolo dalle ruspe.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 05’ : 05’’
Categoria: VIVERE AL PLATZ
Durata 01’ : 13’’
Categoria: QUEL CHE RESTA DEL CAMPO
Durata 04’ : 58’’
Categoria: VIVERE AL PLATZ
Durata 00’ : 35’’
2014. Si prende un caffé mentre i vicini di fronte finiscono di pulire la loro casa. I cani ora possono rientrare. E’ una mattina di sole e sembrano ancora lontani gli sgomberi violenti e senza preavviso o notifica del 2015 che lasceranno senza alcuna alternativa abitativa e “fuori dal progetto” centinaia di abitanti del campo di Lungo Stura Lazio. La maggior parte delle persone sgomberate cercherà una sistemazione nella baraccopoli di via Germagnano.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 01’ : 33’’
2015. Un’altra testimonianza di come le istituzioni e le forze dell’ordine trattano le persone che vivono in una baraccopoli, in un campo “rom”. Sono molte le persone del campo che raccontanto le modalità di sgombero o di “controlli” nelle baracche da parte delle forze dell’ordine. Gli sgomberi continuano ad avvenire senza il rilascio previo di documenti scritti e avvisi formali ma solo prendendo le persone di sorpresa, con l’uso della forza e dispiegando sempre tantissimi agenti e funzionari che invadono il campo all’alba.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 04’ : 58’’
Un ragazzo che vive nella baraccopoli di Lungo Stura Lazio riprende con il suo telefono le persone che il 12 ottobre 2015 escono dal campo e partecipano alla manifestazione “Casa per tuttx!” attraversando il centro di Torino.
Sono ancora numerosi gli abitanti sotto sgombero della baraccopoli di Lungo Stura mentre il progetto “La città possibile” volge al termine e le poche persone che hanno avuto per qualche tempo una casa la stanno già perdendo o hanno già ricevuto minacce di sfratto.
Un documento prezioso, pieno di volti, di messaggi, per raccontare una vita sotto sgombero, il bisogno di una casa, di un luogo dove poter esistere. Sono le ultime settimane prima della distruzione totale della baraccopoli di Lungo Stura e chi vive in città sa poco o nulla di ciò che sta accadendo a pochi km dal centro, in un luogo che esisteva da almeno 15 anni.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 02’ : 01’’
26 febbraio 2015. Lo sgombero più grande e violento del 2015 con enorme spiegamento di agenti e di mezzi. Le ruspe, anche queste molto numerose, entrano nel campo e distruggono centinaia di baracche. In un giorno almeno 200 persone si ritrovano di colpo senza casa. Le ruspe del Comune di Torino entrano nel campo e distruggono baracche e roulottes di centinaia di abitanti, senza dare il tempo di mettere in salvo le proprie cose e ai malati il tempo di recuperare le medicine. Chi viene sgomberato non ha alcuna alternativa abitativa se non la strada. Alcuni fuggono in altre zone della città, altri chiedono ospitalità a chi vive ancora nel campo. Tra le persone buttate in mezzo alla strada si contano 62 minori (molti dei quali a scuola in quel momento), 5 donne in stato di gravidanza, molti neonati, persone con disabilità, anziani, persone malate, persone con disagio mentale. Nel campo inoltre rimangono almeno altre 400 persone (la metà dei quali minori di età) che si trovano sotto sgombero nei giorni successivi.
Dopo quella giornata gli avvocati Laura Martinelli e Gianluca Vitale insieme agli abitanti del campo preparano in pochi giorni un ricorso contro lo sgombero e lo presentano alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il ricorso verrà accolto in pochi giorni. E’ la prima volta che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sospende lo sgombero di un campo rom in Italia.
Categoria: QUEL CHE RESTA DEL CAMPO
Durata 01’ : 33’’
2018. Jean si aggira disorientato tra le macerie della baraccopoli di Lungo Stura Lazio cercando il luogo in cui c’era la sua baracca.
Il campo è stato completamente sgomberato e distrutto alla fine del 2015 con un progetto della Città di Torino di oltre 5 milioni di euro, gestito da una cordata di cooperative e associazioni. I risultati dell’intera operazione sono risibili a fronte dei fondi disponibili. Il progetto non ha mai avuto l’obiettivo di superare i “campi rom” ma solo di moltiplicarli. Lungo Stura in particolare è stato svuotato con informazioni vaghe e confuse, con promesse disattese di operatori e funzionari, con sgomberi forzati e centinaia di fogli di via per far sparire i “Rom” dalla città. Le persone però non spariscono e nel giro di pochi mesi la baraccopoli di via Germagnano, a circa 2 km da Lungo Stura, raddoppia la sua popolazione.
Categoria: LA VERSIONE DEGLI ALTRI
Durata 00’ : 28’’
Inizio 2015. Le famiglie nel campo di Lungo Stura Lazio sono già state classificate dagli operatori e operatrici del progetto (a partire dal gennaio 2014), in base a criteri opachi e del tutto arbitrari e differenziate tra famiglie idonee e non idonee “alla vita in alloggio”. Le comunicazioni da parte dei responsabili dell’intera operazione sono state vaghe e ambigue volte ad alimentare false promesse e a tenere buone centinaia di persone tagliate da subito fuori dal progetto ma che era necessario tenere in sospeso in attesa delle ruspe e degli sgomberi coatti dei mesi successivi a questa intervista.
Categoria: VIVERE AL PLATZ
Durata 01’ : 20’’
2014. Un gruppo di giovani canta alla fine di un battesimo nella chiesa del campo di culto pentecostale. La chiesa era molto importante per la vita della baraccopoli e di buona parte dei suoi abitanti. Prima di questa ne esisteva una più piccola. La nuova chiesa fu costruita nel 2012 con materiali nuovi comprati grazie allo sforzo della comunità di credenti.
Categoria: VIVERE AL PLATZ
Durata 01’ : 05’’
Primavera 2014. È una mattina di sole e sono ancora lontani gli sgomberi violenti del 2015 che lasceranno senza alcuna alternativa abitativa e “fuori dal progetto” la maggior parte degli abitanti del campo di Lungo Stura Lazio. Il campo ha già molte zone recintate e poste sotto sequestro dalle autorità. Sono le baracche già “decostruite” dai “meritevoli” che, dopo essere stati selezionati in base a criteri arbitrari, hanno dovuto firmare i “patti di emersione” con le associazioni e le cooperative responsabili del progetto “La città possibile”. Queste persone, etichettate come “meritevoli”, potranno vivere per qualche tempo in un housing sociale o in un appartamento in affitto ad un prezzo calmierato perché integrato dai fondi del progetto. Nel giro di pochi mesi questi stessi nuclei saranno già sotto sfratto e senza più una baracca a cui tornare. Altri non riusciranno a coprire le spese di affitto crescenti dato che i prezzi sono quelli del mercato privato e i fondi del progetto che integravano parte dei costi stanno già finendo. Non era difficile immaginare che a queste condizioni sarebbe risultato impossibile per i “meritevoli” riuscire ad affrontare costi sempre più alti. Una volta persa la casa anche loro, come le persone escluse da subito dal progetto, sono costrette a cercare rifugio in un’altra baraccopoli, per esempio in via Germagnano o corso Tazzoli.
Categoria: QUEL CHE RESTA DEL CAMPO
Durata 01’ : 12’’
2018. Tra le macerie della baraccopoli di Lungo Stura Lazio distrutta dalle ruspe del Comune di Torino nel 2015 Jean ritrova una macchina con cui giocava la nipotina di un suo amico. Alcune cose sembrano non essersi mai spostate dai luoghi in cui si viveva e ci si incontrava.
Categoria: LA VERSIONE DEGLI ALTRI
Durata 00’ : 26’’
2014. Il progetto “La città possibile” è già iniziato. La testimonianza rende un’idea della confusione e delle informazioni vaghe e ambigue che regnano tra gli abitanti di Lungo Stura Lazio con la presenza ogni giorno nel campo di decine di operatori di istituzioni, associazioni e cooperative varie. Vengono realizzati di continuo censimenti, identificazioni e raccolte di informazioni sugli abitanti del campo per decidere chi è “meritevole” di una casa o non ancora “idoneo alla vita in alloggio”. Durante il progetto la presenza della Croce Rossa all’interno del campo diventa sempre più visibile dato che i suoi operatori vengono pagati per controllare che famiglie e persone sgomberate non occupino baracche sequestrate o cerchino di ricostruire baracche già distrutte. Eventuali tentativi di occupazione o ricostruzione vengono subito segnalati alle forze dell’ordine.
Alla Croce Rossa sono andati, oltre i 461.282,00 euro del Lotto 3, ulteriori fondi del Lotto 2. Gli abitanti della baraccopoli pensano che si tratti di personale con competenza sanitaria ma se viene richiesto qualche medicinale o consulto medico la risposta è di recarsi al pronto soccorso più vicino.
Anche se richiesti non sono mai stati rivelati i costi di gestione del progetto e non c’è mai stato un monitoraggio indipendente sul progetto.
Categoria: VIVERE AL PLATZ
Durata 00’ : 00’’
2018. Jean ritrova tra le macerie lasciate dallo sgombero della baraccopoli di Lungo Stura Lazio il punto esatto in cui c’era il bar di Begu, luogo in cui si riuniva con altri abitanti del campo e il divano su cui si sedeva per riposare e bere una birra.
Il campo è stato interamente distrutto alla fine del 2015 dalle ruspe del Comune di Torino, centinaia di abitanti sono stati sgomberati con la forza senza alcuna alternativa abitativa e lo spazio non è mai stato pulito e “restituito alla città” come ampiamente pubblicizzato durante il progetto “La città possibile” dall’amministrazione comunale dell’epoca.
Categoria: QUEL CHE RESTA DEL CAMPO
Durata 00’ : 36’’
2016. Jean è tornato al campo sei mesi dopo lo sgombero, dopo la cacciata definitiva dei suoi abitanti. Si trovano oggetti, si ricordano momenti vissuti in quello spazio.
Con i fondi milionari del progetto “La città possibile” la maggior parte degli abitanti del campo è stata sgomberata senza alcuna alternativa abitativa ed è stata costretta a cercare una sistemazione in altri campi in particolare nella baraccopoli di via Germagnano. Dal “superamento dei campi nomadi” alla loro moltiplicazione.
Categoria: QUEL CHE RESTA DEL CAMPO
Durata 00’ : 29’’
2016. Jean ritorna al campo ormai completamente distrutto e trova il luogo in cui era stata costruita la chiesa di culto pentecostale. Questa chiesa era molto importante per la vita del campo e venne costruita dagli abitanti di Lungo Stura Lazio con il contributo delle persone credenti che risiedevano nel campo. Prima di questa ne esisteva già una più piccola. La nuova chiesa fu costruita nel 2012 con materiali nuovi comprati grazie allo sforzo della comunità pentecostale. Nel momento dello sgombero e della distruzione completa del campo il Comune promise inizialmente di non distruggerla e di lasciare il tempo di smontarla e ricollocarla altrove ma appena il campo venne svuotato con la forza anche la chiesa venne rasa al suolo con il resto delle baracche.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 02’ : 17″
Ottobre 2015. Inizia con circa 70 persone la ricostruzione del campo oltre le macerie dell’ultimo sgombero forzato di fine settembre. Gli abitanti del campo puliscono una nuova zona perché sono stati lasciati senza alcuna alternativa abitativa e il futuro da lì a poco è trovarsi per strada. Jean riprende chi è rimasto senza baracca, inizia il recupero dei materiali utili alla ricostruzione.
Pochi giorni dopo il Comune manderà un’escavatrice che aprirà un solco molto profondo per impedire agli abitanti del campo di spostarsi verso quest’area, concentrando tutti nell’ultima zona che da lì a poco sarà distrutta.
L’occupazione della ex-caserma di Via Asti da parte di decine di persone e famiglie che vivevano in Lungo Stura Lazio, buttate per strada senza alcuna alternativa abitativa, sarà il tentativo di avere una casa e una risposta alla gestione violenta e militare del progetto speculativo “La città possibile” che ha prodotto solo l’ennesimo caso di nomadismo forzato.
Categoria: VIVERE AL PLATZ
Durata 00’ : 52’’
2013. Un giorno di festa e un amico suona il violino.
Categoria: LA VERSIONE DEGLI ALTRI
Durata 00’ : 59’’
Primi mesi 2015. Una testimonianza su come le istituzioni trattano le persone che vivono nella baraccopoli, come si rivolgono a queste persone quando nessuno le sta registrando o filmando, come organizzazioni e associazioni hanno spiegato il progetto La città possibile e come hanno trattato gli abitanti del campo negli ultimi due anni.
Allo stesso tempo sono già in corso sgomberi forzati e di continuo vengono rilasciati centinaia fogli di via alle persone che ancora vivono in Lungo Stura Lazio. I fondi del progetto milionario “La città possibile” stanno già finendo e la maggior parte degli abitanti è stata da subito tagliata fuori dal progetto senza alcuna alternativa abitativa. Molte saranno costrette ad accettare il rimpatrio “assistito” in Romania o andranno a vivere nella baraccopoli di via Germagnano che in pochi mesi raddoppierà la sua popolazione.
Categoria: QUEL CHE RESTA DEL CAMPO
Durata 00’ : 52″
2018. Nel campo di Lungo Stura Lazio, ormai sgomberato e distrutto da oltre due anni e mezzo, Jean trova una paninoteca mobile semi distrutta e si improvvisa barista. Come mai continuano ad esserci macerie e immondizia in uno spazio in cui gli “zingari” non ci sono più? Tutti i problemi non erano causati dalla loro presenza?
Categoria: QUEL CHE RESTA DEL CAMPO
Durata 00’ : 36’’
Lungo Stura Lazio, 2018. Un giro tra le macerie del campo, uno spazio mai “restituito alla città” come proclamato dal Comune dopo lo sgombero forzato di centinaia di persone che vivevano in quello spazio e buttate per strada senza alcuna alternativa abitativa.
Ora che non ci sono più i “rom”, gli “zingari”, gli “abusivi”, come mai dentro quello spazio si trovano rifiuti e macerie molto recenti? I fumi, i roghi tossici, l’immondizia, non era tutta colpa degli abitanti del campo?
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 01’ : 04’’
Ottobre 2015. Jean continua a riprendere momenti dell’ennesimo sgombero forzato degli abitanti di Lungo Stura Lazio. Il campo è occupato da decine di agenti della polizia e della municipale.
Categoria: LA VERSIONE DEGLI ALTRI
Durata 00’ : 45″
Inizio 2014. Da qualche mese il progetto “La città possibile” decide chi è meritevole di una casa in affitto e chi sarà sbattuto per strada senza alcuna alternativa abitativa. I criteri per la selezione delle famiglie “meritevoli”, “poco meritevoli” e “non meritevoli” sono stati del tutto arbitrari. Promettere case e dividere persone tra buone e cattive, tra docili e indocili, è stata una strategia essenziale all’interno di un progetto che aveva come unico scopo quello di svuotare il campo e creare il panico tra gli abitanti esclusi dal progetto attraverso sgomberi forzati e promesse mai mantenute, utili solo a far passare il tempo in vista del totale svuotamento della baraccopoli. Negli ultimi mesi del 2015 gli sgomberi manu militari sono stati numerosi e molto spesso le persone impaurite scappavano da Lungo Stura Lazio e si spostavano nella baraccopoli di via Germagnano.
Categoria: VIVERE AL PLATZ
Durata 00’ : 28’’
2014. Alcuni punti fermi sulla possibilità di abitare: sull’unica scelta possibile per chi è povero di vivere in una baracca, in un “campo”, e non può accedere in nessun modo al mercato privato degli affitti. Dopo secoli di stanzialità il nomadismo non esiste. Esiste invece un nomadismo forzato che è frutto degli sgomberi continui che subiscono in particolare le persone povere, rom e non rom, che vivono in centinaia di campi e baraccopoli in Italia.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 02’ : 34’’
2016. Jean ritorna in Lungo Stura Lazio mesi dopo lo sgombero definitivo del campo e scherza con altri abitanti che hanno vissuto in quel campo per tanti anni. Tutti si aggirano tra le macerie cercando i resti della propria baracca, trovando oggetti tra le macerie che non sono mai state rimosse dal Comune. Jean si chiede come mai il Comune si è preoccupato per tutti gli animali che vivevano in quel campo dando loro una sistemazione da qualche parte mentre le persone e i bambini sono stati buttati in mezzo alla strada.
Lo spazio occupato dai “rom abusivi” doveva essere restituito alla città, con una nuova area verde. Tuttora è in queste condizioni, recintato e non accessibile, nulla è stato rimosso e i fondi milionari del progetto “La città possibile” sono finiti alla fine del 2015.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 01’ : 36″
Settembre 2015. Nel giorno dell’ennesimo sgombero forzato un cordone di polizia blocca le varie vie di accesso al campo. Intanto sulla strada asfaltata di Lungo Stura Lazio si verifica un incidente.
Jean si avvicina alla strada e in mezzo agli agenti cerca di raccontare ai giornalisti cosa sta succedendo nel campo. Ma i giornalisti restano fuori. Intanto continua il mistero sulla funzione degli operatori della croce rossa dentro e fuori il campo.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 03’ : 03″
2016. Jean ritorna al campo di Lungo Stura Lazio e si aggira tra le baracche distrutte. Del campo e della vita delle persone che ci vivevano resta solo una distesa di macerie, arredi e oggetti della vita quotidiana. Jean ricorda quali sono stati i metodi di Comune e polizia per mandare via le persone del campo, per farle “sparire”, per creare terrore o promettere case solo ai meritevoli con il progetto “La città possibile”. Un progetto milionario che è servito a sgomberare e distruggere la baraccopoli.
La maggior parte della popolazione è rimasta senza nulla, senza baracca, senza un luogo dove poter vivere ed è stata cacciata via con la forza, costretta una volta ancora a cercare una sistemazione in un altro campo della città.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 01’ : 04’’
Ottobre 2015, gli sgomberi forzati nel campo di Lungo Stura Lazio continuano senza sosta. Jean incontra una signora anziana che spiega la sua situazione e quella dei suoi nipoti, ma non esiste alcuna alternativa abitativa per lei e per la sua famiglia.
Il progetto “La città possibile” aveva come obiettivo solamente lo svuotamento del campo e nessuna alternativa reale per la stragrande maggioranza della popolazione se non interventi continui di sgombero manu militari. Jean continua ad essere seguito e filmato mentre documenta cosa sta succedendo a persone singole e famiglie che vengono buttate fuori dalle loro baracche.
Categoria: QUEL CHE RESTA DEL CAMPO
Durata 01’ : 31″
2018. Nei primi mesi del 2016 il Comune di Torino recinta con chilometri di jersey tutta l’area sgomberata di Lungo Stura Lazio per evitare nuove occupazioni dell’area. Sopra i jersey viene posta anche una griglia d’acciaio alta alcuni metri. Intanto tonnellate di resti di baracche distrutte dagli sgomberi del Comune vengono inglobate dalla vegetazione del lungo Stura e nessuno “restituirà l’area alla città” come promesso a più riprese dalla giunta a guida PD.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 03’ : 01″
26 febbraio 2015. Lo sgombero più grande e violento del 2015 con enorme spiegamento di agenti e di mezzi. Le ruspe, anche queste molto numerose, entrano nel campo e distruggono centinaia di baracche. In un giorno almeno 300 persone si ritrovano di colpo senza casa e senza nessuna alternativa abitativa. Una signora osserva la sua baracca mentre viene distrutta da una ruspa. Per ricordare quella che è stata la sua casa per tanti anni cerca di fare un video con il telefono. Intorno a lei c’è chi gira un film sui “rom” e sul progetto “La città possibile”, chi fa foto, chi invita la signora a brindare portandole una bottiglia vuota e sporca.
Gli avvocati Laura Martinelli e Gianluca Vitale insieme agli abitanti del campo preparano in pochi giorni un ricorso contro lo sgombero e lo presentano alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il ricorso verrà accolto in pochi giorni. E’ la prima volta che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sospende lo sgombero di un campo rom in Italia.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 03’ : 19’’
26 febbraio 2015. Gli abitanti di Lungo Stura Lazio cercano di mettere in salvo qualcosa mentre le ruspe distruggono baracche e roulottes che per tanti anni sono state le loro case. Dopo questa giornata verrà presentato un ricorso contro lo sgombero alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che sarà accolto, ostacolando almeno per qualche mese le tappe forzate di distruzione del campo da parte del Comune. Tutte queste persone sgomberate si trovano senza alcuna alternativa abitativa. In questa giornata oltre a centinaia di persone lasciate per strada vengono sgomberati anche 62 minori (molti dei quali a scuola in quel momento), 5 donne in stato di gravidanza, molti neonati, persone con disabilità, anziani, persone malate, persone con disagio mentale.
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 04’ : 19″
Ottobre 2015. Jean si ferma vicino alla carrozzina di un bambino di tre mesi mentre lo sgombero va avanti e le persone vengono buttate fuori dalle loro baracche dalla polizia. Tra decine e decine di agenti che vanno avanti e indietro nessuno risponde, a nessuno interessa cosa faranno le persone che si ritrovano senza la baracca che per dieci anni è stata la loro casa. Un gruppo di agenti con videocamera segue Jean ovunque, tra le persone sgomberate, registrando ogni suo movimento. Anche i dirigenti della polizia municipale lo seguono a distanza. Chi può filmare chi? Perché chi è sgomberato o vuole dire qualcosa mentre è buttato in mezzo alla strada deve restare zitto? Perché le autorità e le forze dell’ordine possono sempre filmare i rom e l’azione contraria provoca tanto fastidio? Chi decide cosa deve essere mostrato e cosa non deve essere mostrato in momenti come questi? Perché Jean è così controllato mentre filma quello che succede intorno a lui?
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 02’ : 09″
26 febbraio 2015. Un uomo ritorna di corsa al campo per lo sgombero più grande e violento del 2015. Cerca di salvare la sua stufa mentre una ruspa ha già iniziato a spaccare la sua baracca. La distruzione viene sospesa per un momento. L’uomo chiede aiuto perché non riesce a spostare la stufa da solo.
Nessuna autorità aveva avvisato con anticipo gli abitanti del campo dello sgombero forzato di quella mattina: un’operazione pianificata e a sorpresa che alla fine della giornata lascia almeno 200 persone senza casa.
Dopo quella giornata gli avvocati Laura Martinelli e Gianluca Vitale insieme agli abitanti del campo preparano in pochi giorni un ricorso contro lo sgombero e lo presentano alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il ricorso verrà accolto in pochi giorni. E’ la prima volta che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sospende lo sgombero di un campo rom in Italia.
Per fare riferimento allo spazio di Lungo Stura Lazio, abitato per almeno 15 anni da circa 2000 persone, abbiamo deciso di utilizzare spesso i termini “campo”, “Platz”, “Barcaiola”, e secondariamente i termini baraccopoli o slum.
Questo perchè la costruzione del sito web è stata pensata soprattutto per le persone che hanno trovato in Lungo Stura un luogo in cui vivere per tanti anni e che ora si trovano disperse in altri campi, in altri margini o in altri paesi. Attraverso i loro filmati e le loro testimonianze abbiamo cercato di ricostruire la storia e la memoria di un luogo che veniva chiamato abitualmente dai suoi stessi abitanti “campo”, “Platz”, “Barcaiola”.
Anche la scelta dei tags per trovare facilmente il sito e gli argomenti dei video vanno in questa direzione.
Baraccopoli o slum sono sicuramente termini analitici pertinenti, se si pensa all’insediamento informale di Lungo Stura Lazio o se si fa riferimento ad altri centinaia di insediamenti presenti in Italia, istituzionalizzati o illegali, dove vivono migliaia di persone povere, rom e non rom, in condizioni estremamente difficili.
Una baraccopoli/slum ha infatti origine dall’occupazione di un terreno sul quale vengono costruite abitazioni precarie, realizzate con materiali riciclati e di recupero, che non hanno accesso alla fornitura di servizi di base, come acqua e luce, nè alla rete fognaria e spesso sono situate in aree pericolose da un punto di vista geografico e ambientale. Le baraccopoli/slum si trovano su terreni instabili, dove possono sorgere interessi ed essere pianificate trasformazioni urbane. Gli abitanti non vivono al sicuro e sono esposti sistematicamente a sgomberi, deportazioni, malattie e violenza.
“Le baraccopoli sono sempre state rifugi per una popolazione sradicata – migranti interni o internazionali – ma non sono né il luogo di vita “naturale” di un gruppo sociale, né una pratica culturale di un’etnia, né uno spazio riservato ai migranti, né un’area di transito di nomadi. Esse consistono soprattutto in una forma di habitat autocostruito e autogestito, che risponde alla necessità di avere un tetto per sopravvivere quando si è esclusi dal mercato immobiliare e le politiche pubbliche faticano ad alloggiare tutti i cittadini.” [1]
Nel mondo vivono circa due miliardi di persone in condizioni di povertà estrema all’interno di baracche autocostruite o abitazioni fatiscenti. Questi spazi si trovano dentro e non fuori dalle nostre città, spesso nelle periferie delle metropoli, e le persone che ci vivono subiscono processi di marginalizzazione sempre più estremi in termini di possibilità di sopravvivenza. Nel caso italiano la segregazione abitativa su base etnica delle popolazioni rom da parte delle istituzioni va avanti da decenni ed è all’origine di processi di nomadismo forzato e della proliferazione di campi o baraccopoli/slum.
[1] Aguilera T., Vitale T., Baraccopoli europee: le responsabilità delle politiche pubbliche, Aggiornamenti sociali, 2016, n° 2, https://spire.sciencespo.fr/hdl:/2441/43rue4cpq19cp8t9ee47pg7i9s/resources/2016-02-111-120-vitale-aguilera-baraccopoli-graphic-novel.pdf
Jean Diaconescu
Ha iniziato la sua vita come pugile professionista. Dopo i vent’anni è stato rivoluzionario, autista privato e dopo camionista. Ha fatto molti altri lavori e ha un grande talento per realizzare reportage e filmati in qualsiasi contesto.
Manuela Cencetti
Fa video e montaggi. Ha vissuto per molto tempo con persone senza casa e senza terra, sfruttate e discriminate perché povere.
Stella Iannitto
È documentarista e autrice. Da anni si occupa di documentare e seguire le vicende di alcuni dei più grandi insediamenti rom della città di Torino.
Nel campo di Lungo Stura fino all’anno scorso vivevano oltre 1.000 persone.
“Siamo arrivati in Italia 15 anni fa e abbiamo sempre vissuto in baracche, non per scelta, ma perchè non possiamo permetterci di pagare un affitto. In Romania abbiamo sempre vissuto in case, che lo Stato garantiva a tutti durante il regime di Ceaușescu, nonostante il razzismo contro i Rom esistesse anche allora. Siamo venuti in Italia perchè dopo il 1989 la situazione economica è diventata molto difficile: hanno chiuso miniere, fabbriche e collettivizzazioni dove molti di noi lavoravano, mentre le attività che alcuni gruppi rom svolgevano da secoli non hanno trovato spazio nell’economia capitalista. Siamo diventati disoccupati e senza reddito.
Siamo venuti in Italia per cercare lavoro e qui abbiamo visto che i Rom vivevano in campi, mentre l’accesso alle case popolari era praticamente impossibile. Il mercato degli affitti di Torino, poi, è inaccessibile per chi come noi svolge lavori sottopagati che non ci permettono nemmeno di sfamarci. Così ci siamo adattati alla situazione, che è sempre stata molto dura, perchè non eravamo abituati a vivere in baracche, senza luce né acqua. Il campo di Lungo Stura si è velocemente ingrandito perchè molte persone scappavano qui dopo che polizia e vigili le sgomberavano da altre zone. Prima che la Romania entrasse nell’Unione Europea i poliziotti venivano spesso nei campi, all’alba, per fare retate e spaccare tutto: ci prendevano, ci portavano in questura e spesso ci chiudevano nei CIE o ci mettevano direttamente sugli aerei per espellerci. Anche dopo che siamo diventati cittadini europei la violenza della polizia è continuata, così come il razzismo e lo sfruttamento”
(Inizio dal Comunicato dell’Assemblea abitanti del campo di Lungo Stura Lazio dopo lo sgombero forzato e senza preavviso del 26 febbraio 2015)
Manuela Cencetti 2020 – Qualsiasi contenuto, errore e/o inesattezza è di mia responsabilità.
Ringraziamenti
Per questo lavoro composto da sguardi, voci e storie differenti ringraziamo tutte le persone di Lungo Stura Lazio che hanno vissuto per tanti anni in quel campo e che insieme a Jean e ad altre e altri hanno realizzato i filmati e le registrazioni audio che compongono l’archivio del progetto “La versione di Jean”.
Ringraziamo CODICI RICERCHE E INTERVENTO e in particolare Jacopo Lareno Faccini, Roberta Marzorati e Camilla Pin Montagnana per aver creduto nel nostro progetto, per il percorso costruito insieme e il loro interesse di entrare a far parte di un luogo e di una storia molto complessa di Torino, dei suoi abitanti e ancora in movimento.
https://www.codiciricerche.it/it/
Il sito è parzialmente sostenuto dalla call for research di Codici Ricerca e Intervento “Non solo case”
https://www.codiciricerche.it/it/codici404/non-solo-case/
Per le traduzioni dal romeno e romaní ringraziamo:
Jean
Geanina
Jon – Assemblea Gattonero Gattorosso
Cristina – Assemblea Gattonero Gattorosso
Per tanti tipi di aiuto, la condivisione e lo scambio di idee e di pensieri ringraziamo:
Liliana Ellena
Ambra Formenti
Enrico Mugnai
Cristina Rowinski
Gianluca Vitale
Elio Gilardi
Mirko Capozzoli
Cecilia Rubiolo
Un grazie speciale per la sensibilità, l’impegno e la realizzazione grafica e visionaria del sito “La versione di Jean” agli amici di Foehn.
Categoria: VIVERE AL PLATZ
Durata 01’ : 13’’
Categoria: VIVERE AL PLATZ
Durata 00’:35’’
Categoria: LA VERSIONE DEGLI ALTRI
Durata 02’:53’’
Categoria: QUEL CHE RESTA DEL CAMPO
Durata 02’:00’’
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 01’:36’’
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 03’:19’’
Categoria: NON DOVETE VIVERE PIÙ QUI
Durata 05’:05’’
Ottobre 2015. Durante lo sgombero Jean incontra una donna con un neonato di tre mesi. La proposta delle autorità è una sistemazione provvisoria per lei e il neonato. Il padre si trovi un’altra sistemazione. Ma anche per loro due non si capisce che tipo di “sistemazione provvisoria” venga offerta, dove, per quanto tempo. Durante lo sgombero forzato, con centinaia di persone buttate fuori dalle loro baracche questo caso, dato che viene filmato da Jean e vengono poste domande puntuali al funzionario, sembra essere l’unico di una famiglia con minori all’interno del campo. La proposta è comunque di separarli.