Storia del campo di Lungo Stura Lazio, Torino, 2000-2018

Cronologia della baraccopoli
di Lungo Stura Lazio, il Platz

Preambolo
(1942-2000)

Cronologia
(2000-2020)

Le storie contenute in questa cronologia hanno come protagoniste persone povere, rom e non rom, abitanti delle baraccopoli di Torino. Persone etichettate unicamente tramite le linee del “colore”, come rom, in primo luogo dalle istituzioni. Queste vicende descrivono nel tempo l’invenzione dei “campi nomadi” e i correlati processi di nomadismo forzato che perdurano ancora oggi a danno di individui e famiglie spesso stanziali da secoli, che tuttavia in Italia continuano ad essere oggetto di quotidiani sgomberi e deportazioni, senza mai poter trovare un luogo sicuro dove abitare. Per chi è povero la possibilità di trovare un luogo sicuro dove abitare non esiste e certamente avere (e tenersi) una casa nelle nostre città e metropoli risulta ormai un privilegio, accessibile solo a chi può permettersi di pagare un affitto ai prezzi proibitivi del mercato privato.

 

La presenza rom romena a Torino si inserisce in un pre-esistente contesto di proliferazione di “campi rom”autorizzati e non. Già nel lontano 1982 a Torino erano presenti ben 27 “aree” in cui vivevano persone rom e sinte, di cui una, quella del “Sangone”, creata tramite delibera comunale nel 1979 e regolamentata. Queste zone erano oggetto di una politica di gestione e di questo compito è stato incaricato l’Ufficio Stranieri e Nomadi del Comune, creato nel 1982, il primo in Italia. La istituzionalizzazione di “campi” come forma abitativa destinata a comunità rom e sinte a Torino prende forma nell’intreccio tra differenti fattori, tra cui il “problema” delle espulsioni di Sinti piemontesi con cittadinanza italiana dalle città in cui intendevano stanziarsi e la crescente presenza di rom provenienti dalla ex Repubblica Federativa Socialista Jugoslava a partire dagli anni Sessanta. Nonostante ci si trovasse in presenza di persone in larghissima parte stanziali da decenni o da secoli – o, per quanto riguarda i Sinti piemontesi, costretti a un nomadismo coatto – è proprio la questione di un supposto nomadismo a diventare la chiave di lettura tramite cui si interpreta il bisogno abitativo di queste persone, tanto da legittimare una risposta d’eccezione (e sostanzialmente di contenimento). Così, la legge regionale n. 26 del 10 giugno 1993 – così come accaduto nella maggior parte delle regioni italiane – istituzionalizza una forma abitativa razzializzata, il “campo”, giustificandola del tutto impropriamente come azione a “salvaguardia” di una supposta “identità etnica e culturale” dei rom. Nel corso degli anni Novanta, tale politica inizia ad incontrare una crescente opposizione ed è per questo che anche a Torino progressivamente si opterà non per la costruzione di nuovi campi autorizzati, quanto per la tolleranza delle baraccopoli in cui si ritrovano a vivere in particolare, ma non solo, i rom migranti arrivati più recentemente sul territorio comunale, quelli provenienti dalla Romania, che in breve tempo, diventeranno “l’ultimo nemico pubblico”.

Dalla metà degli anni ’90 iniziano infatti a giungere a Torino molte persone provenienti dalla Romania che sono emigrate per scelta e per necessità. Le cause che spingono le persone a partire dopo il 1989 sono indubbiamente legate alla trasformazione del sistema economico post-comunista: le persone “rom”, in larghissima parte nullatenenti e disoccupate, sono tra le prime a subire gli effetti devastanti dell’instaurazione di un ordine capitalistico selvaggio in Romania. ll movimento migratorio era volto a trovare possibilità di sussistenza e talvolta a fuggire dall’esplosione di violenze razziali. Le modalità di ingresso in Italia durante gli anni Novanta erano principalmente illegali, data la politica dello Stato italiano in materia di immigrazione, e venivano seguite dalla domanda di asilo politico, che in larga parte le autorità rifiutavano. Secondo alcuni abitanti della baraccopoli, il primo insediamento “invisibile” in Lungo Stura Lazio, che questa cronologia ha per oggetto, risale pressapoco all’anno 2000. E’ però a partire dal 2002 che la baraccopoli inizia a popolarsi significativamente, in quanto l’abolizione del visto per entrare nello spazio Schengen semplifica e abbassa i costi dell’emigrazione dalla Romania: il platz arriva a raggiungere i 2.000 abitanti, diventando così la baraccopoli più grande di Torino e forse dell’Europa occidentale. ll dato più significativo, relativamente alla presenza migrante rom romena a Torino, è come essa – che gli amanti delle tassonomie potrebbero definire composta da migranti economici, esattamente come la maggior parte del resto della popolazione con cittadinanza romena – venga invece riassorbita all’interno della narrazione del nomadismo, proprio sulla base della genealogia del discorso pubblico intorno al campo come forma abitativa adatta ai rom, essenzializzati come “nomadi” e dunque, intrinsecamente, “criminali”.

 Prendendo in prestito le parole di N. Sigona, questo meccanismo può riassumersi nei seguenti passaggi:

 “i nomadi, tutti e indistintamente, sono criminali per natura, pertanto è normale che siano oggetto di controlli indiscriminati da parte delle forze di polizia. E qui entra in gioco il terzo elemento: il campo-nomadi – il luogo per eccellenza dove vivono i nomadi – è funzionale a tenere questi criminali sotto controllo. Fine riassunto.” (Sigona N., 2007, “Lo scandalo dell’alterità: rom e sinti in Italia”, in Bragato e Menetto, Nuova Dimensione, pp. 17-32)

Preambolo (1942-2000)

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1942 -1944

Porrajmos, il grande divoramento: l’Olocausto dei Rom in Romania durante il regime fascista del maresciallo Antonescu

Le forme e i linguaggi della violenza e dell’odio razzista che hanno colpito gli individui e comunità rom – così come le sofferenze che hanno vissuto – sono molteplici e ricorrenti nel corso della storia.

Ricordiamo il genocidio avvenuto in Romania durante il regime fascista del maresciallo Ion Antonescu, che tra il 1942 e il 1944 ordinò la deportazione di circa 25.000 Rom romeni in Transnistria (regione tra i fiumi Nistru e Bug). Le deportazioni delle persone rom iniziarono il 1 giugno del 1942. Antonescu stesso diede l’ordine di deportare “tutti gli zingari verso la Transnistria”. Le persone vennero costrette a viaggiare a piedi o su vagoni, per lunghe settimane. Le autorità romene tolsero ogni bene e ogni indumento ai deportati che morirono nudi, a cielo aperto, di freddo, di fame, di malattie e di morte violenta. Molte donne e adolescenti furono stuprate dalle autorità. Se si opponevano alle violenze venivano immediatamente uccise: molteplici furono le esecuzioni per mano delle autorità civili e militari.

Si legge in un rapporto governativo del 1942 relativo ad uno dei siti di deportazione:

Per tutto il tempo che i rom sono stati nella caserma di Alexandrudar, hanno vissuto in una condizione di miseria indescrivibile. L’alimentazione era insufficiente. Si davano solo 400 grammi di pane agli adulti e 200 grammi ai bambini e anziani. Gli si davano anche un po’ di patate e raramente del pesce affumicato. Perciò molti sono dimagriti talmente tanto che sembrano scheletri. Ogni giorno muoiono dieci-quindici zingari. Sono pieni di parassiti; la visita medica non gli viene fatta e le medicine non ci sono. Sono senza vestiti, scarpe. Alcune donne hanno il corpo vuoto, nel vero senso della parola. Il sapone non gli è stato mai distribuito, perciò non possono lavarsi, né lavare i propri indumenti. In generale la situazione degli zingari è terribile, molto vicina all’impossibile. Per questo alcuni sono diventati dei veri e propri selavaggi. A causa della fame hanno iniziato a rubare alla popolazione ucraina. Al giorno 25 novembre sono morti già 309 individui.” (Arh. St. Bucuresti, Inspectoratul General al Jandarmeriei, dos. 130/1942, vol. I, f. 128-132 )

Decenni dopo, nel 2014, nella baraccopoli di Lungo Stura Lazio una donna di cinquant’anni raccontava: “Antonescu, lo conosco. Ho sentito da  mia mamma, da mia nonna, ci ha presi tutti e ci ha portati in Transnistria e ci ha lasciati là. Sai, come con gli Ebrei. Ma noi Rom non abbiamo niente, sai. Ci prendono tutto. Noi andiamo in Romania ci mandano via, andiamo in Germania ci mandano via, andiamo in Italia, ci mandano via…Eh… Noi siamo come il Vento. Poi arriva il Lupo e ci mangia.

Film sull’Olocausto Rom in Romania (1942 – 1944):

“Valle dei sospiri / Valea Plângerii”, Romania, 2013, 56′, regia di Mihai Andrei Leaha, Iulia Hossu, Andrei Crisan

Vincitore dell’ Award for Best Image all’Astra Film Festival 2013 di Sibiu.

Trailer:

https://www.youtube.com/watch?v=RSPoUM162_Q&feature=youtu.be

Film integrale:

 https://www.youtube.com/watch?v=vy4DbH3D2Ko

1965 -1989

Le politiche assimilazioniste dei rom durante il regime di Ceaușescu in Romania

Durante il regime di Ceaușescu, in particolare tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, quando conobbero una importante crescita demografica, i rom furono oggetto di diverse politiche di sedentarizzazione, proletarizzazione e “romenizzazione”. Dal punto di vista abitativo a molti di coloro che non erano sedentari vennero assegnati appartamenti popolari in condomini dello stato o terreni. Molte comunità vennero disgregate. La maggior parte delle persone rom venne impiegata in fattorie statali o fabbriche.

 

Durante il periodo socialista, i rom dall’Europa dell’Est erano il bersaglio di politiche di assimilazione. Di conseguenza, molti di loro furono impiegati nel sistema economico socialista. Erano lavoratori industriali, poco qualificati o non qualificati, e membri delle cooperative di produzione agricola. Altri erano riusciti a rimanere al di fuori delle unità produttive socialiste, lavorando nella economia informale. La principale attività informale a disposizione dei rom era il piccolo commercio, che svolgevano in tutto il paese”. (Voiculescu C., 2004, “Temporary Migration of Transylvanian Roma to Hungary”, in D. Pop, Cluj-Napoca, AMM Design, p. 145)

Testo :

 

Achim V., 2004, The Roma in Romanian History, Budapest, Ceu Press

1989 – 1999

“Libere” circolazioni dalla Romania dopo la caduta del regime comunista: capitalismo e razzializzazione

All’interno delle comunità rom in Romania, le migrazioni internazionali diventano consistenti a partire dalla fine del regime comunista, benchè si fossero avviate già a partire dai primi anni Ottanta. Il sociologo, economista e storico ungherese Attila Melegh ha discusso il fatto che dopo il crollo dei regimi comunisti i paesi est europei “sono stati reintegrati nella gerarchia del capitalismo globale, che si è anche riflettuta chiaramente nel costrutto ideologico di una separazione est-ovest”. Questo fenomeno è anche stato descritto nei termini di un processo economico di “Terzo-Mondizzazione” del cosiddetto “Secondo Mondo”, di cui A. Gunder Frank aveva già afferrato alcuni meccanismi di funzionamento nel 1992. Dopo la caduta del regime di Ceaușescu, a partire dal 1989 la Romania ha attraversato un periodo di profonda crisi economica che è peggiorato con il passare degli anni e ha provocato i primi flussi migratori verso l’Europa occidentale. Le cause che spingevano le persone a partire dopo il 1989 erano legate alla trasformazione del sistema economico, in un contesto in cui le differenti comunità rom erano le prime a subire gli effetti devastanti del capitalismo selvaggio: “I cambiamenti sistematici introdotti dal post-socialismo hanno portato a una massiccia disoccupazione, quindi i Rom sono diventati più vulnerabili nel nuovo ambiente socioeconomico. I meno qualificati furono i primi ad essere licenziati. Ad esempio, nel primo anno successivo al crollo del socialismo rumeno circa l’80% dei rom non aveva un lavoro (Folkeryd & Svanberg, 1995). Coloro che avevano lavorato nelle cooperative agricole statali incontrarono le stesse difficoltà di adattamento. Furono privati in diversi modi della terra che era loro in virtù della loro partecipazione al lavoro collettivo (Stewart, 2002). La mancanza di risorse e l’esclusione sociale ha portato a un impoverimento massiccio tra i rom.” (Voiculescu C., Temporary Migration of Transylvanian Roma to Hungary, in D. Pop, Cluj-Napoca, AMM Design, p. 145) Gli individui rom sono state i primi a ritrovarsi disoccupati con il collasso dell’economia socialista. Chi aveva lavorato nelle Cooperative di Produzione Agricola (C.A.P.) spesso riceve la possibilità di ottenere mezzo ettaro di terreno dopo la loro chiusura, ma non avendo modo di coltivarlo per l’assenza di mezzi, lo cede, tanto che molte persone rom “iniziarono a lavorare come braccianti giornalieri nelle fattorie dei proprietari romeni, svolgendo lavori domestici o lavori agricoli di base”. (Radu C., 2007, From Socialist Governmentality to Local Governance: Explaining Differences in Socio-Economic Practice among Roma in Romania, tesi di dottorato, CEU, Budapest, p. 51). Inoltre, all’inizio degli anni ’90, in un contesto di forte crisi economica e impoverimento, la popolazione rom viene per l’ennesima volta colpita dalla violenza razzista. Si verificano episodi di violenze collettive, discriminazioni razziali da parte delle stesse istituzioni statali e non solo, si moltiplicano casi di detenzioni illegali e maltrattamenti. Nel 1993, durante la sommossa di Hadareni 3 persone rom vengono uccise, 19 case bruciate e 5 distrutte. Alle violenze e all’odio razzista di gruppi di abitanti che agiscono in modo collettivo, anche incitati e appoggiati dalle forze dell’ordine, si aggiungono forti discriminazioni strutturali sul piano lavorativo, educativo, abitativo, sanitario. Come ha ben descritto la studiosa Eniko Vincze: “Accanto ai cambiamenti post-socialisti durante gli anni ’90 (supportati da un’ideologia della transizione verso la democrazia e la mercificazione) e il neoliberalismo trionfante degli anni 2000 (la vasta diffusione del principio di mercato in tutti i settori della vita sociale), l’assimilazione è stata gradualmente sostituita da politiche di razzializzazione. Nel caso della politica assimilazionista, i Rom rappresentavano un problema culturale che si sarebbe dovuto risolvere non appena avessero adottato le norme culturali della società socialista (lo stato socialista ha utilizzato questo modello di ingegneria sociale per l’intera popolazione pre-moderna e rurale della Romania, cercando la sua necessaria trasformazione in lavoratori urbani). Dopo il 1990, la razzializzazione dei Rom, come conseguenza involontaria e perversa del loro riconoscimento come minoranza etno-nazionale che avrebbe dovuto godere dei diritti culturali e linguistici, e la necessità di spiegare perché vivevano in povertà senza riconoscerne le cause economiche e politiche, ha trasposto la differenza e la disuguaglianza tra romeni / ungheresi da un lato e rom dall’altro nel regno della biologia e della fisiologia. Vista nel vasto panorama delle trasformazioni post-socialiste in Romania, la razzializzazione dei Rom è una tecnologia specifica di de-proletarizzazione e de-universalizzazione dei cittadini rom romeni. (Vincze E., 2013,   Urban Landfill: A Space of Advanced Marginality, presentato al convegno RC21)

Testi:

 

Melegh A. 2006, On the East-West Slope. Globalization, nationalism, racism and discourses on Central and Eastern Europe, Budapest, CEU

 

Vincze E., Rat C., 2013, “Foreword for the Special Issue on Spatialization and Racialization of Social Exclusion. The social and cultural formation of ‘gypsy ghettos’ in Romania in a European context, «Studia UBB Sociologia», v. LVIII, n.2, pp. 5-22

 

Sul pogrom di Hădăreni:

 

“Rapporto sulla violazione dei diritti umani della minoranza rom in Romania”, a cura della Rete d’urgenza,Torino, luglio 1998

http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/1998/luglio/rom.html

 

European Roma Rights Center, 1996, Sudden Rage at Dawn. Violence against Roma In Romania, Country Reports Series, No. 2., ERRC, Budapest

http://www.errc.org/uploads/upload_en/file/00/18/m00000018.pdf

 

 

Caso Hădăreni, district of Mureş (Romania)

EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS, 397 – 12.7.2005,

judgment in the case of Moldovan and Others v. Romania (no. 2) (application nos. 41138/98 and 64320/01).

 

https://hudoc.echr.coe.int/eng-press#{%22itemid%22:[%22003-1393399-1454825%22]}

 

Caso Hădăreni, district of Mureş (Romania), Consiglio d’Europa / Corte Europea dei diritti dell’Uomo, 2013. p. 1

 

https://www.echr.coe.int/Documents/FS_Roma_ITA.pdf

1990 – 2000

I primi arrivi a Torino di persone rom provenienti dalla Romania: una città a parte

La permanenza dei migranti rom romeni sul territorio torinese a partire dagli anni Novanta è sostanzialmente illegale: si registrano inizialmente numerosi tentativi di richiesta del diritto di asilo, generalmente respinti, per cui questa modalità di ingresso sul territorio italiano viene progressivamente abbandonata, proprio per lo scarso successo, e ci si conforma alla prevalente modalità di permanenza sul territorio in attesa di una delle numerose sanatorie che caratterizzano il governo dei corpi migranti in Italia. Nel corso degli anni Novanta, infatti, lo strumento principale mediante lo Stato gestisce i movimenti migratori è rappresentato dalle cosiddette sanatorie, nell’assenza di una politica migratoria coerente complessiva. Per cui, anche i migranti “rom” provenienti dalla Romania esperiscono una permanenza sul territorio di tipo irregolare, sia dal punto di vista giuridico che  economico, andando ad ingrossare le fila della manodopera precaria sfruttata all’interno dell’economia sommersa. Data la loro estrema precarizzazione e dato il razzismo strutturale che determina le forme dell’abitare urbano, queste persone non trovano altro luogo dove vivere a Torino che baracche auto-costruite in zone periferiche ed “invisibili” della città. Va sottolineato che la presenza di rom provenienti dalla Romania a Torino, ultimi arrivati, si inserisce nel contesto di proliferazione di “campi rom” autorizzati e non a partire dagli anni 70, e istituzionalizzata poi con la legge regionale n. 26 del 10 giugno 1993 che, così come accaduto nella maggior parte delle regioni italiane, cristallizza una forma abitativa razzializzata, giustificandola del tutto impropriamente come azione a salvaguardia di una supposta “identità etnica e culturale” dei rom etichettati come “nomadi”. “In Italia nascono come campi nomadi – ufficialmente “campi sosta” – e sono istituzioni regolate, in assenza di un quadro legislativo nazionale, da leggi regionali varate negli anni novanta, una sorta di parcheggi attrezzati immaginati per comunità girovaghe quali erano i Rom e Sinti Italiani ancora negli anni ottanta. Appena finiti di costruire si sono trasformati in insediamenti perennemente temporanei per i Rom in fuga dalle guerre dei Balcani e poi dalle zone depresse della Romania. Si sono evoluti da slums di baracche e roulotte a campi di container agli attuali villaggi, con un crescendo di sorveglianza e di dipendenza dalle istituzioni e una conseguente perdita di autonomia decisionale sulla propria vita. Anche la storia dell’abitare rom in Italia ha una lunga letteratura, è la storia dell’urbanistica del disprezzo, che da secoli li ha cacciati dalle nostre città rendendoli nomadi per forza, stranieri ovunque, popoli delle discariche, figli del ghetto.” (Careri F., 2011, Una città a Parte. L’apartheid dei Rom in Italia, introduzione all’inserto speciale L’abitare dei Rom e dei Sinti, de “Urbanistica Informazioni” n° 238, pp. 23-25) “A Torino il regolamento comunale per le “aree di sosta attrezzate per sinti e rom” prevede addirittura che “una famiglia che abbia ricevuto un ordine di sfratto non possa accedere ad un’altra area in città”. In ogni caso si tratta sempre e comunque di aree di transito dove i “nomadi” possono stazionare per periodi limitati, in genere di un anno, oltre i quali è necessario un rinnovo approvato dalla commissione del campo. Commissione in cui, credo sia inutile specificarlo, i Rom non sono rappresentati. Alla luce di tutto questo non c’è quindi da stupirsi se Najo Adzovic, uno dei portavoce del Casilino 900, abbia dichiarato: «Vogliono trasformare i campi rom in carceri a cielo aperto, in nuovi Cpt» e se da più parti il ricordo sia volato all’internamento dei Rom nei campi di concentramento italiani istituiti durante il fascismo.” (Di Noia, Radici storiche e processi sociali dell’esclusione dei Rom, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2016, p. 48)

Testi:

 

Brunello P. (a cura di), 1996, L’urbanistica del disprezzo. Campi rom e società italiana, Manifestolibri, Roma

 

Viene pubblicato nell’ottobre del 2000 “Il paese dei campi. La segregazione razziale dei Rom in Italia”, a cura dello European Roma Rights Center

 

http://www.errc.org/reports-and-submissions/il-paese-dei-campi

 

Sigona N., 2002, Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e l’invenzione degli zingari, nonluoghi libere edizioni, Divezzano

 

Valentino N. (a cura di), 2011, I ghetti per i Rom. Roma Via di Salone 323. Socioanalisi narrativa di un campo rom, sensibili alle foglie, Roma

 

Picker G., 2012, Territori postcoloniali ai limiti. I campi per rom in Italia e Francia tra doxa e storia, in Ceva e Galeotti, Mondadori, pp. 194-216

1998 – 1999

I primi rom romeni a Torino sono “fuori luogo” e vengono sgomberati e deportati

Il gruppo di 350-400 rom romeni che, nella primavera del 1998, cerca un luogo in cui poter vivere nella periferia nord-ovest di Torino, al confine con il comune di Venaria, proviene in maggioranza dai villaggi di Fetesti e Tandarei, zone in cui sono verificati vari incidenti ed episodi di violenza contro le comunità rom (Revelli M., 1999, Fuori luogo. Cronaca da un campo rom, Torino, Bollati Boringhieri, p. 106). Inizialmente questo gruppo numeroso (che cercherà  di stabilirsi in un campo vicino a corso Cuneo, per poche decine di metri nel comune di Venaria) cerca di raggiungere la Francia e la Spagna, ma viene respinto oltrefrontiera, in base alle norme previste dal trattato di Dublino, secondo il quale il primo paese d’entrata dello spazio Schengen deve farsi carico degli immigrati e dei richiedenti asilo nel suo territorio, in questo caso l’Italia. Alla quasi totalità dei rom romeni protagonisti di questa vicenda lo Stato italiano nega il diritto di asilo o qualsiasi altro tipo di permesso di soggiorno e anzi notifica un decreto di espulsione con intimazione. All’alba dell’8 febbraio 1999, una cinquantina di persone del campo vengono portate via senza alcun preavviso dalla polizia, con i soli indumenti che hanno addosso in quel momento, e deportate con un volo da Malpensa per Bucarest. Quella stessa notte le poche persone rimaste nel campo, che si erano nascoste per sfuggire alla deportazione di massa, scappano verso Torino, in via Germagnano. Il 10 febbraio, il campo di corso Cuneo viene completamente raso al suolo, ogni tenda e roulotte viene distrutta dalle ruspe e dagli operatori del comune di Venaria. Alla fine della giornata tutto quello che apparteneva agli abitanti del campo viene ammassato e dato alle fiamme dagli operatori del Comune: è stato necessario chiamare i vigili del fuoco per circoscrivere l’enorme rogo di vestiti, coperte, oggetti, utensili, giocattoli che fino a poco prima erano utilizzati dalle persone che vivevano in quello spazio. Tutta la traiettoria umana e spaziale di questo gruppo di persone – in cerca di un luogo dove poter abitare – insieme all’incredibile miseria politica dimostrata dalle amministrazioni locali dell’epoca (quella della Città di Torino e del comune di Venaria) sono raccontate nel libro di Marco Revelli “Fuori luogo. Cronaca da un campo rom”.

Testi:

 

Revelli M., 1999, Fuori luogo. Cronaca da un campo rom, Torino, Bollati Boringhieri  

Cronologia del campo di Lungo Stura Lazio (2000-2020)

2000 – 2002

Si forma la baraccopoli “non autorizzata”  di Lungo Stura Lazio, periferia nord di Torino

Intorno  al 2000 inizia la vita del “Platz”, ovvero la prima baraccopoli illegale di Lungo Stura Lazio, a Torino. Cresciuta nell’arco di 15 anni, è diventata la più popolata della città e forse d’Europa, arrivando a contare circa 2000 abitanti etichettati da un punto di vista “etnico” come rom, ma sostanzialmente persone povere, provenienti dalla Romania e non solo, che non possono avere accesso al mercato privato degli affitti. L’unico spazio dove vivere a Torino sono le sponde nascoste del fiume Stura, l’unica casa possibile, una baracca auto-costruita.

 

Il Comune e la Questura di Torino nel corso degli anni hanno sempre dichiarato un numero inferiore di abitanti.

2002 – 2004

Vita quotidiana al “Platz”, un villaggio nella città

Il campo è un mondo a parte, con le sue regole, le sue forme di socialità, i suoi rapporti di potere interni, le sue relazioni economiche. ll campo è un mondo ed un villaggio. Il campo – che in questo caso non è tanto una forma di controllo temporale della forza lavoro quanto piuttosto un luogo di contenimento di una eccedenza – è una sorta di comunità autonoma che il Comune e le forze di polizia controllano e fanno controllare con vari metodi e strategie. Un mondo i cui numerosi abitanti non sembrano esistere “da fuori” come realtà sociale, politica, umana. Un mondo colmo di gesti e sforzi quotidiani, di feste e lutti, di progetti e fallimenti, di andirivieni tra Torino e la Romania, tra il centro e la periferia, di infiniti viaggi tra le baracchine ed la fontana di acqua potabile accanto al ponte, in macchina, in bicicletta, più spesso a piedi. Un mondo poco immaginabile per chi viene da fuori, per chi passa in auto sull’anello di asfalto e getta uno sguardo sulla spazzatura, o per chi ci lavora a intermittenza, a “ronda”, a missione, come operatore comunale, vigile, assistente sociale, volontario, operatrice della Croce Rossa e ogni ordine e grado di polizia, carabinieri e finanzieri. Dallo stradone di Lungo Stura, il campo risulta invisibile. Affiorano solamente delle piccole stradine sterrate segnate da mucchi di rifiuti su entrambi i lati e se non fosse per il via-vai di persone a piedi ed in bicicletta – specialmente di primo mattino, nel primo e nel tardo pomeriggio – difficilmente si potrebbe immaginare cosa si cela dietro alla folta radura che fa da sponda al fiume Stura, sulla riva opposta a ciò che un tempo era il « Tossic Park ». In effetti lì dietro si cela un vero e proprio villaggio, con tanto di negozietti, bar, una officina di riparazioni ed una chiesa. Nessuno di coloro che hanno lasciato una casa in Romania per venire a Torino avrebbe pensato di abitare in un luogo del genere, per molti il primo impatto con il campo è stato tremendo, però l’impossibilità di pagare un affitto ed il fatto che attraverso questo spazio sia possibile intessere relazioni sociali ed economiche fondamentali per la sopravvivenza, ha fatto sì che i più – in assenza di alternative – si siano con il tempo adattati alla situazione. Le attività lavorative principali svolte dalle persone sono la raccolta del ferro e del rame, la rivendita di oggetti usati nei bazar della città ed il mangel, l’elemosina. Un’altra attività lavorativa, svolta principalmente da donne, ma anche da uomini, è quella di badante; attività per la quale le persone sono costrette a nascondere la propria auto-identificazione come appartenenti alla comunità rom, presentandosi invece come romeni, perchè consapevoli che il diffusissimo stigma nei confronti dei rom=nomadi=criminali di cui sopra impedirebbe la costruzione di un minimo rapporto di fiducia con le famiglie italiane. Le persone con un contratto di lavoro formale in ogni caso si contano sulla punta delle dita.

15 aprile 2004

Primo sgombero forzato contro gli abitanti di Lungo Stura Lazio. La polizia distrugge le baracche di circa 90 rom romeni e tutti i loro beni personali

 

“On April 15, 2004, a group of approximately 90 Romanian Roma, 70 of whom had applied for asylum and about 20 of whom had not, were evicted from the shacks they had been living in by the river in the northern Italian city of Turin, according to Ms Carlotta Saletti Salza, an activist working with Roma in Turin.[…]” Traduzione italiano nostra: “Il 15 aprile 2004 un gruppo di circa 90 rom rumeni, 70 dei quali avevano chiesto l’asilo e di cui 20 non lo ottennero, vennero sgomberati dalle baracche in riva al fiume in cui vivevano, nella città di Torino, nel nord Italia, racconta Carlotta Saletti Salza, una attivista che lavora con i rom a Torino. La polizia distrusse le baracche nelle quali i rom abitavano, insieme a tutti i loro beni. 20 rom senza documenti regolari per vivere in Italia vennero espulsi dopo lo sgombero. Una donna rom, senza documenti in regola, fu “invitata” a tornare in Romania. Lei non obbedì e, come riporta Saletti Salza, le autorità le tolsero i figli ponendoli sotto custodia statale. I 70 rom che avevano fatto richiesta di asilo occuparono l’Ufficio immigrazione di Torino per due giorni a seguito dello sgombero. Dopo 48 ore arrivarono dei furgoncini per spostarli in una scuola non utilizzata dove avrebbero dovuto vivere temporaneamente. Dopo l’arrivo di 36 persone rom nella scuola, i residenti della zona protestarono davanti all’edificio, così venne predisposto un campo con tre grandi tende per quelli che avevano occupato l’Ufficio immigrazione. Saletti Salza dichiara che i 24 rom usciti dall’Ufficio immigrazione chiesero di poter essere inseriti nel campo appena costruito, ma che l’Ufficio immigrazione glielo negò. Alfredo Ingino, coordinatore dei campi nomadi per la Città di Torino, informò l’ERRC (European Roma Rights Centre) che il gruppo, di cui facevano parte molti minori, aveva fatto ritorno alle sponde del fiume ricostruendo le baracche. I funzionari dell’Ufficio immigrazione iniziarono a visitare il campo 2 volte al giorno nel tentativo di contare le persone che vivevano lì e minacciando che se il campo fosse cresciuto ancora lo avrebbero chiuso. Secondo Saletti Salza ai rom era stato anche detto che non avrebbero ottenuto l’asilo. Il 27 aprile 2004, l’ERRC visitò il campo, che aveva solo tre bagni chimici e un piccolo contenitore d’acqua che veniva riempito solo una volta alla settimana. Non c’era elettricità né altre fonti d’acqua. Nessuno dei rom residenti era presente.” Questo episodio viene riportato nel report del 2004 del  “Centro europeo per i diritti dei rom contro l’Italia”, 18 giugno 2004

Link :

Centro europeo per i diritti dei rom, Collective Complaint by the European Roma Rights Center against Italy, 18 june 2004

https://rm.coe.int/no-27-2004-european-roma-rights-center-errc-v-italy-case-document-no-1/1680740851

Primi anni 2000

I migranti poveri provenienti dalla Romania, rom e non rom, cercano uno spazio di esistenza a Torino tra baraccopoli, sgomberi e deportazioni

Nel periodo intercorso fino all’ingresso della Romania nell’Unione Europea, a Torino sono frequenti gli sgomberi e di conseguenza gli spostamenti di persone rom e non-rom provenienti dalla Romania da una baraccopoli all’altra. La violenza poliziesca si esprime con particolare brutalità su soggetti clandestini. Essendo gli “ultimi arrivati” e non disponendo di mezzi di sussistenza, si adattano a vivere in baracche auto-costruite nelle zone marginali e invisibili di Torino. La loro oppressione è data dal combinato dell’assenza di risorse economiche e dell’assenza di tutela giuridica, dal momento che l’attesa rispetto alla richiesta di asilo è molto lunga e spesso si conclude con un diniego. A ciò si aggiunge la precarietà sanitaria, dato che non è possibile l’iscrizione al S.S.N. ed è invece ordinario l’utilizzo del pronto soccorso come unica risorsa, chiaramente emergenziale, in caso di patologie gravi. Nei rapporti dell’Osservatorio interistituzionale sugli stranieri si offre una stima di 700 persone rom provenienti dalla Romania a partire dal 2000. Si parla di una loro presenza in città « in sistemazioni precarie ». Prima del 2007 gli interventi di sgombero da parte delle Forze dell’Ordine dei piccoli insediamenti invisibili sono quotidiani. Il principale effetto di queste pratiche di sfollamento e di retata si è rivelato essere quello di ammassare centinaia di persone nella baraccopoli di Lungo Stura Lazio, reso così uno spazio più facilmente controllabile dal momento che per i cittadini romeni senza documenti, ed in particolare coloro più facilmente localizzabili dal punto di vista abitativo illegale, sono ordinari anche i processi di detenzione amministrativa nei CPT e poi CIE e rimpatrio coatto. Nel rapporto dell’Osservatorio interistituzionale sugli stranieri del 2003, relativo all’anno 2002, si legge: “Ai suindicati campi nomadi si aggiungono alcuni insediamenti spontanei che, se pur non autorizzati, acquistano da un lato carattere di stanzialità, come nel caso di gruppi di Rom Romeni […] Da una sommaria rilevazione degli insediamenti spontanei nella città si può prudentemente valutare, in mancanza di un regolare censimento, in circa 6-700 i Rom, per lo più Romeni, che dimostrano caratteristiche di stanzialità […] Sia pure meno di un tempo, ma è ancora un fenomeno rilevante, ancor più per i Rom romeni che in molti casi non godono dei benefici del S.S.N per la quasi totale situazione di irregolarità, è il ricorso all’utilizzo del pronto soccorso. Ci si arriva quando i sintomi dell’insorgere di qualche malanno a lungo trascurato, oppure, come nel caso dei minori, per eccessivo allarmismo e/o disorientamento dei genitori. Oltre che al pronto soccorso le persone che si trovano in posizione di irregolarità ricorrono ai servigi degli sportelli I.S.I. (Informazioni Sanitarie Immigrati). (Ufficio Rom, Sinti e Nomadi 2003)”<

10 dicembre 2011

Pogrom della Continassa – Quartiere Vallette, periferia nord-ovest di Torino

Il 9 dicembre 2011 una ragazza di 16 anni residente nel quartiere delle Vallette (periferia nord-ovest di Torino) denuncia una violenza sessuale e descrive alle forze dell’ordine due “rom” come responsabili della violenza. Nel quartiere viene organizzata per la sera successiva una fiaccolata di solidarietà con la vittima dell’aggressione. Il giorno dopo la sedicenne confesserà di aver mentito, nonostante i partecipanti nel corso della fiaccolata vengano informati della falsa accusa, alcuni manifestanti si staccano dal corteo e attaccano la Cascina della Continassa dove vivono circa 50 persone rom romene. Nel corso dell’attacco vengono devastate e incendiate baracche e roulottes, messe in fuga tutte le famiglie rom terrorizzate e ostacolati i soccorsi dei Vigili del fuoco. All’inizio le narrazioni sul pogrom parlano di “raid”, di un’azione improvvisa e non pianificata, ma ben prima, già nella redazione del volantino che lanciava la fiaccolata, risultava chiaro l’intento di “ripulire” quel determinato spazio, peraltro oggetto di interessi e speculazioni dalla fine degli anni ’90, e che il rogo consegna direttamente nella mani della società calcistica Juventus Football Club. Paola Andrisanti in “Continassa: la violenza simulata e la violenza subìta” (in Terzo Libro bianco sul razzismo in Italia, Lunaria, 2014), scrive: “La Continassa è un’area di 260.000 m², posta nella periferia nord-ovest di Torino, all’interno della  V  Circoscrizione.  Risalente  con  buona  probabilità  al  XVII  secolo,  la  Continassa  è  una cascina a corte a chiusa, con un passato tormentato. In abbandono dagli anni ’80, viene occupata da alcune famiglie di rom romeni. Tuttavia l’area, in prossimità dello Juventus Stadium, viene prescelta per ospitare la futura sede amministrativa, nonché un nuovo centro sportivo e polifunzionale, della società calcistica per azioni Juventus Football Club. Lo stadio juventino viene inaugurato l’8 settembre 2011 (il pogrom avverrà soltanto qualche mese dopo…), mentre il Comune di Torino approva il progetto di riqualificazione e valorizzazione dell’area Continassa, firmando un contratto definitivo di acquisizione con il club calcistico, siglato il 14 giugno 2013.” Più avanti: “È  una  lettura  troppo  superficiale  quella  del  “raid-raptus”  improvvisato,  perché  l’attacco era stato  annunciato  con  dei  volantini  nelle  buche  della  posta  che  incitavano  apertamente  alla  violenza  (“Adesso  basta  ripuliamo  la  Continassa”).  Un’azione  pianificata,  preventivamente costruita  piuttosto.  Anche  su  Facebook  ha  circolato  lo  stesso  volantino,  postato  persino  sulla  bacheca  del  segretario  provinciale  del  Pd  di  Torino,  Paola  Bragantini,  che  poi  ha  preso  parte  al  corteo.  È  interessante  annotare  a  margine  le  dichiarazioni  che  ha  rilasciato  ad  Adnkronos  la  Bragantini, con le quali cerca di giustificare la sua presenza ad una manifestazione esplicitamente razzista  e  strumentale:  “È  mio  dovere  essere  presente,  accanto  alle  Forze  dell’Ordine,  alla  Giunta,  ai  Consiglieri,  quando  in  quartiere  succede  qualcosa  del  genere.  Però  a  questa  gente,  senza più valori, chi parla? Alle famiglie esasperate, chi lancia un richiamo ai valori? Chi è venuto, a provare a tirar via le persone, a dire in faccia a più d’uno ‘vergognati per quello che stai dicendo’, come abbiamo fatto noi, a nostro rischio?” Secondo l’esponente del Pd, “nella bufera dovrebbe essere chi nelle nostre periferie non ci viene o non ci è mai venuto chi non sa, e crede di  sapere  tutto”.  Intanto,  su  Twitter,  la  conversazione  sull’accaduto  si  è  sviluppata  intorno  agli  hashtag #pogrom e    #torinoburning”. Il processo per il rogo della Continassa dura anni. Il 13 luglio  2018 la Corte di Appello di Torino pronuncia la sentenza di secondo grado: sono confermate le condanne per quattro persone, mentre una quinta persona viene assolta. La Corte conferma l’impianto accusatorio di primo grado e l’aggravante di “odio etnico e razziale”.
Testi: Per un’ottima documentazione e una precisa analisi della vicenda consigliamo la lettura del capitolo “Continassa: la violenza simulata e la violenza subìta” di Paola Andrisani (pp. 123 – 127) contenuto nel Terzo Libro bianco sul razzismo in Italia – Cronache di ordinario razzismo, a cura di Lunaria, anno 2014 https://www.lunaria.org/wp-content/uploads/2014/10/impaginato-low.pdf Un altro sguardo interessante è proposto dall’antropologo Francesco Remotti in un testo del 2013 in cui riprende la vicenda del Progrom della Continassa (p. 69): https://www.umbriaintegra.it/wp-content/uploads/2018/04/Id-o-Conv2614.pdf Articoli di cronaca: https://www.lastampa.it/torino/2011/12/10/news/mette-in-fuga-i-due-rom-br-che-violentano-la-sorella-1.36913305 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/12/10/sedicenne-denuncia-violentata-sotto-casa.html https://www.lastampa.it/torino/2011/12/11/news/due-arresti-per-il-rogo-nel-campo-rom-1.36913438 http://www.cronachediordinariorazzismo.org/rogo-della-continassa-sei-condanne-fu-odio-razziale/ https://torino.repubblica.it/cronaca/2015/10/28/news/incendio_al_campo_rom_risultato_di_un_antico_odio_etnico_verso_gli_zingari_-126057144/ http://www.cronachediordinariorazzismo.org/rogo-della-continassa-pronuncia-della-corte-di-appello/ http://www.cronachediordinariorazzismo.org/la-prudenza-non-e-mai-troppo-poca-proverbio-per-giornalisti/ Altri link: ERRC, “Italia – Rapporto del centro europeo per i diritti dei rom Profilo del Paese2011-2012”: http://www.errc.org/uploads/upload_en/file/italy-country-profile-in-italian-2011-2012.pdf PARALLEL REPORT by the European Roma Rights Centre Concerning Italy – For Consideration by the Human Rights Committee at its 1 17th session (20 June – 15 July 2016), Articles 12, 20 and 26 of the International Covenant on Civil and Political – Rights: Residential segregation and hate speech and violence: http://www.errc.org/uploads/upload_en/file/italy-iccpr-25-april-2016.pdf Link sulla sentenza del 2018: https://torino.corriere.it/cronaca/18_luglio_13/torino-diedero-fuoco-campo-rom-condannati-odio-razziale-6866cbb4-8677-11e8-83d7-334832af0f98.shtml http://www.cronachediordinariorazzismo.org/rogo-della-continassa-pronuncia-della-corte-di-appello/ https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/13/torino-incendio-al-campo-rom-del-2011-4-condanne-con-aggravante-di-odio-razziale/4489567/ https://www.lastampa.it/torino/2018/07/13/news/rogo-della-continassa-quattro-condanne-per-odio-razziale-1.34031442

2012

In Lungo Stura Lazio nasce una nuova chiesa di culto pentecostale

Ciò che salta subito all’occhio nelle baraccopoli di Lungo Stura Lazio, via Germagnano e Corso Tazzoli, è la presenza di una chiesa. Così come accade in molte periferie e slum del mondo, una delle forme di organizzazione strutturata che recentemente è sorta all’interno di spazi di “temporaneità permanente” è proprio la chiesa pentecostale. Nel caso di tutti i campi dove vivono persone rom romene a Torino, si tratta di baracche auto-costruite esattamente come le restanti all’interno delle baraccopoli, ma con materiali più pregiati nel caso della grande chiesa Betel del campo rom di Lungo Stura Lazio, per la quale è stato fatto un importante investimento tramite collette e donazioni. Questa chiesa si inserisce all’interno di un più ampio panorama di chiese pentecostali presenti nei campi e nelle baraccopoli rom e sinti della città. In tutta Europa, è a partire dal 1970 che si è diffuso un movimento evangelico zigano, in particolare tra i gruppi gitani, manouches, sinti e rom, per impulso del pastore Clément Le Cossec. Ciò che emerge è che le comunità pentecostali partecipano attivamente alla creazione di uno spazio di migrazione intra-europeo, nella scelta delle destinazioni, nell’organizzazione delle partenze, nella strutturazione della vita quotidiana nei luoghi di arrivo, e talvolta nell’incorporazione all’interno delle strutture dello Stato, a cui si sostituiscono nell’erogazione di servizi, ad esempio nell’intermediazione del lavoro, così come nella costruzione di immaginari di “mobilità sociale”. Il discorso pentecostale partecipa anche alle dinamiche di razzializzazione e genderizzazione che attraversano i corpi migranti. Nel gennaio 2012 viene costruita dagli abitanti della baraccopoli di Lungo Stura una nuova chiesa di culto pentecostale grazie al contributo di molti abitanti del campo, che acquistano il materiale nuovo necessario per i lavori. Prima di questa ne esisteva già una più piccola. Nel momento dello sgombero, il Comune aveva inizialmente promesso di non distruggerla e di lasciare il tempo di smontarla e ricollocarla altrove, ma appena il campo è stato svuotato totalmente con la forza, anche la chiesa è stata rasa al suolo. Questo è successo alla fine del 2015, quando nessuno poteva più avvicinarsi al campo e ancora meno documentare l’ennesima distruzione.
Testi: Sul rapporto tra religione ed economia, anche nel contesto delle migrazioni “pentecostali” dalla Romania, si veda: http://www.studia.ubbcluj.ro/download/pdf/1060.pdf Si vedano due posizioni contrastanti sul ruolo di “rottura” che i culti evangelicali rappresentano all’interno degli slum contemporanei: Davis, M. 2004. Planet of slums: urban involution and the informal proletariat. New Left Review 26:5–34 https://newleftreview.org/issues/II26/articles/mike-davis-planet-of-slums Marshall R., Christianity, Anthropology, Politics, in «Current Anthropology» 55, 2014 http://projects.chass.utoronto.ca/ruthmarshall/wp-content/uploads/2014/12/Christianity-Anthropology-Politics-Marshall-Current-Anthr.pdf

Dicembre 2012

Riallocazione delle somme ex “emergenza nomadi” accreditate dal ministero dell’Interno sulla contabilità speciale di competenza, pari ad Euro 5.193.167,26

Il 21 maggio 2008, in nome della “sicurezza di Stato” viene emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, nel quale si dichiara lo “stato di emergenza in relazione agli insediamenti delle comunità nomadi in Campania, Lombardia e Lazio” e l’anno successivo Piemonte e Veneto, con cui si conferiscono poteri straordinari ai funzionari dello Stato e degli organi locali. In tal senso si paventano il monitoraggio, l’identificazione dei campi nomadi, l’eventuale sgombero degli stessi, nonché la creazione di nuovi. Si procede rapidamente alla schedatura e alla raccolta di dati biometrici degli abitanti delle baraccopoli rom, dunque sulla base di una discriminazione razziale. La cd. “Emergenza Nomadi” verrà poi  dichiarata illegittima tramite sentenza del Consiglio di Stato del 16 novembre 2011. Contro di essa il 15 febbraio 2012 il Governo italiano ha presentato ricorso presso la Corte Suprema di Cassazione. Il 30 aprile 2012 la Corte di Cassazione ha rigettato definitivamente il ricorso.

A tal proposito, vale la pena segnalare l’articolo “Appunti per una “lettura romanì” del pacchetto sicurezza” di Alessandro Simoni, in cui si legge:

Ricordiamo i passaggi essenziali, politici e normativi, del nuovo antiziganismo di Stato (2) sino alla promulgazione del “pacchetto sicurezza”. Con la campagna elettorale del 2008, per la prima volta la “questione zingara” diventa problema di rilievo nazionale, con prese di posizione nel programma ufficiale di una delle formazioni politiche in lizza. Tra gli obbiettivi presentati agli elettori dal Popolo della libertà compare infatti il «contrasto all‟insediamento abusivo di nomadi e (l‟)allontanamento di tutti coloro che risultano privi di mezzi di sostentamento e di regolare residenza» (3). Come sappiamo, queste priorità hanno avuto una rapida traduzione pratica con l‟emanazione delle famose ordinanze sull‟”emergenza nomadi”. Non ritorneremo qui sul loro contenuto (4), ricordando solo come esse facessero riferimento agli insediamenti di comunità nomadi, agli abitanti dei quali venivano applicate una serie di incisive misure di polizia preventiva, pur se prodromiche – a leggere il testo – ad interventi per il superamento dell‟emergenza e l‟integrazione sociale.

Come scrivevamo, a nostro parere l‟antigiuridicità di tali ordinanze non derivava tanto dalle attività che prescrivevano, ma piuttosto dalla costruzione di una categoria, quella del “nomade”, che assume in Italia caratteristiche inequivocabilmente etniche, e rappresenta l‟emersione nel linguaggio normativo di una stereotipizzazione negativa che aveva sino ad allora già governato, ma in modo occulto, un‟infinità di prassi discriminatorie verso gli “zingari”, di cui il termine “nomadi” è sinonimo. (…)

(Simoni A., “Appunti per una ’lettura romanì’ del pacchetto sicurezza”, in Fiorita N., Giolo O.,Re L. (edf), “La ‘minoranza insicura’. I rom e sinti in Europa“, Jura Gentium, V (2009), 1. http://www.juragentium.org/forum/rom/it/simoni.htm)

A seguito del Decreto Legge n. 59 15/5/2012 ( Legge n.100 del 12/7/2012) la Prefettura di Torino destina al “superamento delle criticità relative agli insediamenti autorizzati e non di comunità nomadi presenti sul territorio cittadino” le somme precedentemente accreditate dal Ministero degli Interni sulla contabilità speciale di competenza, previa stipulazione di una specifica convenzione con la Città di Torino (periodo previsto: dicembre 2013/dicembre 2015).

Con Deliberazione della Giunta Comunale mecc. 201207751/019 del 18/12/2012 viene approvata la  Convenzione tra Prefettura e Città di Torino e la parallela istituzione del Comitato di Indirizzo, con cui viene sancita la riallocazione delle somme accreditate dal ministero dell’Interno sulla contabilità speciale di competenza, pari ad Euro 5.193.167,26, che confluiranno nel progetto “La città possibile” e nello sgombero della baraccopoli di Lungo Stura Lazio.

Link alla deliberazione della Giunta Comunale, 18 dicembre 2012, numero 2012 07751/019, “Approvazione convenzione tra Prefettura e Città e istituzione Comitato di indirizzo: iniziative progettuali volte al superamento delle criticità relative agli insediamenti, autorizzati e non, di comunità nomadi sul territorio cittadino, a valere su fondi del ministero dell’Interno” http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2012/2012_07751.pdf Link al DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, 21 maggio 2008, “Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunita’ nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia.” (GU Serie Generale n.122 del 26-05-2008) https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2008-05-26&atto.codiceRedazionale=08A03712&elenco30giorni=false In seguito, 16 novembre 2011, il Consiglio di Stato con sentenza n. 6050 statuisce “l’illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008”. Link alla sentenza https://www.meltingpot.org/IMG/pdf/consiglio_stato_sent_6050_2011.pdf Sito ASGI in merito alla sentenza del Consiglio di Stato: https://www.asgi.it/banca-dati/consiglio-di-stato-sezione-quarta-sentenza-del-4-novembre-2011-n-6050-dd-del-16-novembre-2011/ Simoni Alessandro 2008, I decreti “emergenza nomadi”: il nuovo volto di un vecchio problema, “Diritto immigrazione e cittadinanza”, X/34, pp. 44-56 https://www.francoangeli.it/riviste/Scheda_Rivista.aspx?IDArticolo=34586&idRivista=89 ERRC – European Roma Rights Centre. “End of the Road for Italy’s Illegal State of Emergency”: http://www.errc.org/cikk.php?cikk=4137 http://www.errc.org/cikk.php?cikk=4119

2013

Il Comune fa chiudere la fontanella di acqua potabile più importante per gli abitanti della baraccopoli vicino al ponte di Strada Settimo.

Da quel momento gli abitanti del campo sono costretti ad andare più lontano per riempire d’acqua bottiglie e contenitori. Si va a piedi oppure in bicicletta, legando pesanti recipienti nella parte posteriore delle bici. L’acqua è necessaria per bere, cucinare, lavare. Per tantissime azioni della vita quotidiana. Dopo che il Comune fa chiudere la fontanella vicino alla baraccopoli, avere un po’ di acqua potabile diventa ancora più difficile. Il 23 settembre 2013 un ragazzo di 28 anni, abitante del campo, viene investito proprio mentre va in bicicletta a fare rifornimento di acqua. Viene travolto da un pick-up e muore sul colpo, mentre tra gli abitanti del campo sale la rabbia e la disperazione per questa ennesima morte sullo stradone di Lungo Stura. Da parte delle autorità e forze dell’ordine iniziano già le minacce di sgombero e i fogli di via diventano la principale strategia per colpire gli abitanti di Lungo Stura Lazio. Molti di loro, di fatto, iniziano ad “auto-sgomberarsi” stanchi delle continue retate, dei verbali di polizia per qualsiasi ragione, di fogli di allontanamento dall’Italia, e cercano altri luoghi in cui poter vivere.

Gennaio – Febbraio 2013

Costruire uno sgombero “innovativo” e “sperimentale”: definizione delle linee guida per il futuro progetto “La città possibile”

Nel Comune di Torino, amministrato dal PD (Sindaco Fassino), si fa strada il progetto di intraprendere lo sgombero massivo di una baraccopoli in modo “innovativo” e “sperimentale”, per evitare le complicazioni materiali, politiche e mediatiche di un intervento manu militari contro migliaia di persone povere. Lo sgombero viene quindi definito come un “virtuoso” percorso di “superamento dei campi rom”, che si concretizzerà poi nel progetto “La città possibile”. Parlare di “superamento” dei campi rom apre frontiere semantiche e materiali su cui si gioca la possibilità di legittimare politicamente uno sgombero violento di chi a Torino non può permettersi una casa e venderlo come “modello”, come verrà del resto dimostrato negli anni successivi da analoghe operazioni in altre città d’Italia (sul caso di Roma, si veda il recente rapporto “Dove restano le briciole” dell’Associazione 21 Luglio: https://www.21luglio.org/2018/wp-content/uploads/2020/01/drlb-divulgativo.pdf). Per concretizzare l’operazione pensata dall’Amministrazione comunale, viene in primo luogo definito un Comitato di Indirizzo, che risulta composto dalle seguenti istituzioni:
  • Assessorati Comunali (Politiche Sociali e Abitative – Politiche Sviluppo e Innovazione – LLPP, Ambiente, Verde e Ig. Urbana – Commercio, Attività Produttive – Polizia municipale)
  • Prefettura di Torino
  • Questura di Torino
  • Regione Piemonte
  • Provincia di Torino
  • un rappresentante dei Presidenti di Circoscrizione
  • Diocesi Cattolica
  • Chiesa Ortodossa rumena
  • Compagnia di San Paolo
  • Università di Torino
Il Comitato si insedia il 9 gennaio e realizza in tutto sette incontri (9/1 – 16/1- 23/1 – 30/1 -6/2 -27/2 – 25/9) fino al 25 settembre 2013. Si legge nei documenti che nel corso di questi incontri vengono individuate, analizzate e condivise le “caratteristiche e le criticità”  attribuite alle “comunità Rom” che vivono a Torino. Allo stesso tempo vengono definite le linee guida utili alla formulazione del progetto “La città possibile”. Nessuna persona abitante nei campi e baraccopoli, più volte menzionati negli atti pubblici e delibere,  è mai stata invitata o interpellata dal Comitato. Il Comitato di Indirizzo si è limitato a lavorare con Assessori, personale tecnico, Forze dell’Ordine, rappresentanti delle ASL, istituzioni private varie, laiche e religiose. Le proposte “innovative” individuate dal Comitato d’Indirizzo: – soluzioni abitative alternative alla casa: coabitazioni, autocostruzione, autorecupero – “rientri assistiti” in Romania – borse-lavoro, ma anche lavoro accessorio e attività individuabili nella filiera ambientale, tra cui viene inserita “la pulizia della baraccopoli da parte degli stessi abitanti”. Il Comitato  dà quindi mandato al Servizio Stranieri e Nomadi e al Corpo di Polizia Municipale di mappare, censire, conoscere nel dettaglio, tra febbraio e maggio 2013, le popolazioni che vivono in baraccopoli, al fine di individuare e separare dagli altri le persone ritenute idonee al progetto. Il Comitato d’Indirizzo dà priorità alla baraccopoli di Lungo Stura Lazio, su cui propone il coinvolgimento del volontariato e della Croce Rossa Internazionale per un‘azione congiunta con le Forze dell’Ordine. Da osservare che la convenzione precedente, pochi mesi prima (dicembre 2012) specificava già in modo molto chiaro che gli interventi previsti con lo sblocco dei fondi ministeriali (5.193.167,26 di euro) avrebbero riguardato non solo la baraccopoli “non autorizzata” di Lungo Stura Lazio ma anche altri campi “autorizzati” e non, spesso definiti “spontanei”, come effettivamente accaduto: Corso Tazzoli (sgomberato nel 2018), Strada dell’Areoporto, via Germagnano “autorizzato” (“bonificato” e sgomberato a partire dal 2017) e “non autorizzato” (sgomberato a partire dal 2019 e distrutto completamente nell’agosto 2020). Inevitabile un parallelismo tra il progetto di sgombero “innovativo” dei campi rom con quello che sarà lo sgombero “dolce” delle palazzine dell’Ex-Moi, come riferito anche nell’analisi critica del Comitato di solidarietà rifugiati e migranti: “Comparazioni con esperienze passate Non è la prima volta che a Torino si intraprende un progetto di sgombero massivo di uno spazio urbano, ma “concordato” con gli occupanti. Lo sgombero dell’ex Clinica San Paolo e dell’attigua Casa bianca, era stato definito uno “sgombero assistito”. Molte delle persone passate da quelle occupazioni oggi vivono all’ex Moi o in altre occupazioni come quella di corso Chieri, dimenticate da tutte le istituzioni. Molti ricordano il bus della Gtt, che andava a prendere le persone nella Caserma “La Marmora” di via Asti – stazione intermedia di quella odissea cittadina – per farle scendere di fronte alla ex palazzina della Polizia municipale, abbandonata da tempo, di corso Chieri. Inevitabile paragonare l’attuale Progetto MOI al progetto “La città possibile” conclusosi a dicembre 2015 e durato un biennio che aveva come scopo «realizzare percorsi efficaci di integrazione e di cittadinanza per ca. 1300 persone di etnia ROM che abitano oggi nelle aree sosta autorizzate e non autorizzate della Città di Torino». In Lungo Stura Lazio 800 persone sono state evacuate, senza un massiccio uso della forza, 600 delle quali hanno aderito a dei cosiddetti «patti di emersione». L’area del lungo fiume bonificata da baracche e rifiuti. (…)”<

Link alle delibere e comunicati stampa della Città di Torino:

 

http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2012/2012_07751.pdf

 

http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_01849.pdf

 

La Sintesi proposta progettuale del “Progetto MOI Migranti un’Opportunità d’Inclusione”: un’analisi critica del Comitato di solidarietà rifugiati e migranti

 

https://www.meltingpot.org/IMG/pdf/testo-critico_exmoi.pdf

Aprile 2013

La Giunta Comunale approva le linee guida, il Servizio Stranieri e Nomadi è incaricato di presentare un bando per     l’attuazione delle azioni individuate
Le linee progettuali individuate dal Comitato d’indirizzo sono approvate dalla Giunta Comunale il 23 aprile 2013 con delibera n. 2013018449/019. Nel documento  di delibera si fa riferimento al ruolo delle Forze dell’Ordine e della Croce Rossa nell’area di Lungo Stura Lazio al fine di impedire che le persone rimangano nella zona o giungano nuovi abitanti, un’azione “a difesa della legalità” che si giustifica come non repressiva, ma di carattere “umanitario” : […] Pertanto, alla luce delle risorse disponibili, è stata individuata come priorità su cui intervenire la situazione di Lungo Stura Lazio in quanto sito a maggiore rischio idrogeologico, igienico e sanitario e, in generale, sotto il profilo della qualità di vita dell’intera zona. Si sono delineate alcune soluzioni di intervento fra loro interconnesse, indicando la questione del ripristino della legalità a tutela delle stesse popolazioni Rom, nonché a tutela del lavoro degli operatori, quale denominatore comune dei principali insediamenti e condizione preliminare alla realizzazione di ogni successiva azione progettuale. La questione pone la ferma richiesta di attivazione di un presidio stabile nel quadro di un’azione congiunta interforze con le Forze dell’Ordine, non repressiva ma di carattere umanitario e pertanto integrata – se necessario – anche dalle associazioni di volontariato e dalla Croce Rossa che da anni collaborano con la Città per affrontare le emergenze legate alle nuove povertà. Ciò, anche al fine di evitare nuovi incrementi numerici e nuovi insediamenti nella fase preliminare e durante lo svuotamento graduale delle presenze, oltre che per impedire scarichi di nuovi rifiuti e/o attività illecite. […] Si specifica questo passaggio per spiegare la quantità di fondi del progetto “La città possibile” destinati alla sola Croce Rossa (461.282,00 euro), il cui “presidio stabile” (nei fatti di controllo permanente e denuncia alle forze dell’ordine di eventuali resistenze o nuove occupazioni all’interno del campo) non è stato sempre compreso dagli abitanti sotto sgombero che, senza residenza e senza tessera sanitaria, a volte si rivolgevano al personale della Croce Rossa chiedendo farmaci o un consulto medico. Contestualmente, il Servizio Stranieri e Nomadi del Comune di Torino viene incaricato di elaborare e presentare un bando specifico per l’attuazione delle azioni individuate dalle linee guida, che confluiranno poi nel progetto “La città possibile”. La preparazione del capitolato d’oneri da mettere a bando viene dalle stesse istituzioni definita come “complessa e articolata”.
20 Agosto 2013 – Determina Del Comune di Torino “GESTIONE DI INIZIATIVE PROGETTUALI, COMPRESI INTERVENTI DI CARATTERE SOCIALE, A FAVORE DI COMUNITA’ ROM SUL TERRITORIO CITTADINO. INDICENDA GARA MEDIANTE PROCEDURA APERTA. 01.11.2013 – 31.10.2015. SPESA EURO 4.428.116,00 IVA INCLUSA, A VALERE SU FINANZIAMENTO MINISTERIALE.” http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_03926.pdf   Lotti 1 e 2 http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_06902.pdf   Lotto 3 http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_05931.pdf     Bando di gara n° 84/2013 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/08/30/T13BFF14717/s5    

Maggio 2013

Uno sgombero “umanitario”: sulD decreto di sequestro preventivo da parte del GIP (Procura di Torino) dell’area dove è sito il campo rom di Lungo Stura Lazio

Per spiegare la narrazione della Procura di Torino sull’origine “umanitaria” di questo decreto (del maggio 2013) è necessario fare riferimento alle dichiarazioni del GIP Borgna riportate in un articolo de La Stampa a marzo 2015 quando Comune, Prefettura e Procura risultavano seriamente preoccupate per le sorti dello sgombero di Lungo Stura Lazio sospeso dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) per una serie di violazioni dei diritti dei suoi abitanti rimasti senza alcuna alternativa abitativa. Nell’articolo citato – “Al campo nomadi si rischia una nuova occupazione. Dopo la sospensiva decisa dalla Corte di Strasburgo interviene la Procura” – ecco che il gip Borgna cita “le preoccupazioni di carattere umanitario” per il campo rom di Lungo Stura Lazio la cui occupazione di fatto è stata “tollerata” per almeno 15 anni: malgrado le preoccupazioni l’area viene sequestrata solo quando i fondi del ministero degli Interni (5.193.167,26 euro) sono sicuri. Prima nessuno aveva manifestato grandi preoccupazioni per una zona altamente alluvionale. È sufficiente osservare le date delle varie delibere e decreti di sequestro per capire come si sia cercato di tenere (apparentemente) separate le azioni di Procura e Questura da quelle di Comune e Prefettura: –       Dicembre 2012  viene approvata la convenzione tra Prefettura e Comune e viene istituito il Comitato di Indirizzo, proprio in questa delibera viene sancita la destinazione delle somme accreditate dal Ministero dell’Interno pari a 5.193.167,26 euro. –       Aprile 2013: delibera in cui vengono approvate le linee progettuali del Comitato di Indirizzo in modo da poter successivamente emanare i bandi, tra cui quello vinto da “La città possibile” –       Maggio 2013 viene emanato il decreto di sequestro preventivo dell’area da parte del GIP In realtà risulta più che evidente che la disposizione di sequestro preventivo del terreno da parte del GIP rientra pienamente all’interno delle logiche del progetto “La città possibile” e garantisce in questo modo al Comune di Torino l’appoggio della forza pubblica in ogni fase progettuale, calendarizzando sgomberi quotidiani al fine di svuotare il campo entro i tempi previsti dal progetto.

Link all’articolo de La Stampa, 21 marzo 2015

 

https://www.lastampa.it/topnews/edizioni-locali/torino/2015/03/21/news/al-campo-nomadi-si-rischia-una-nuova-occupazione-1.35286043

 

Link all’analisi dettagliata dei documenti e dei tempi di sequestro dell’area – pagina Gattonero Gattorosso

 

https://www.facebook.com/notes/742729282508617/?__tn__=HH-R

Fine 2013 –  2014

Si dà avvio al progetto “La città possibile – iniziative a favore della popolazione ROM”: la distinzione tra salvati e sommersi
4 dicembre 2013, il Raggruppamento Temporaneo d’Impresa – Valdocco, Terra del Fuoco, AIZO (Associazione Italiana Zingari Oggi), Stranaidea, Liberitutti e Croce Rossa Italiana – dà avvio alla prima fase del progetto “la Città Possibile”.   Le azioni si concentrano in particolare sulla baraccopoli di Lungo Stura Lazio, ma riguardano anche il campo di Corso Tazzoli (“non autorizzato” e sgomberato senza motivo nel 2018), via Germagnano “autorizzato” e “non autorizzato” (attualmente sotto sgombero) e Strada dell’Aeroporto.   Le azioni si sviluppano dichiaratamente secondo una concezione del cd. “welfare universale selettivo” – ovvero fondato sulla distinzione tra salvati e sommersi, persone meritevoli e non-meritevoli di essere destinatarie di risorse – oltre che “attive”. Ai meritevoli, infatti, viene richiesta una partecipazione: “Le azioni dovranno pertanto coinvolgere attivamente in un’accezione occupazionale e abilitativa tutti coloro che condivideranno la progettualità anche attraverso la sottoscrizione di specifici patti.”   Il divide et impera è una strategia funzionale a gestire uno sgombero di 2.000 persone, frammentando e fiaccando una possibile resistenza.   Il 19 dicembre 2013 si riunisce per la prima volta l’Osservatorio con funzione di monitoraggio, che successivamente si incontra nelle seguenti date: 26/2/ 2014 – 7/5/2015 – 2/7 – 24/10 – 10/12 – 11/3 – 8/7 – 16/10.   Nell’arco di due anni vengono spesi dalla cordata di associazioni e cooperative la maggior parte dei 4.428.116,00 euro assegnati. Al termine del progetto, su 1300 “beneficiari” iniziali che vivevano nel campo, 8 famiglie vivono in una casa con un “affitto direttamente intestato”. 33 persone “dispongono di un titolo di residenza all’interno delle allocazioni”. Questi dati, oltre ad altri risultati surreali del progetto rispetto al numero reale degli abitanti del campo, risultano sconvolgenti e offrono solamente una lontana idea di questa mega-operazione cosmetica che doveva far sparire i “rom” da Torino. La residenza non è mai stata concessa neppure alle poche famiglie che nel corso del progetto hanno potuto vivere in appartamento per pochi mesi fino ad un massimo di due anni.

2013 –  2015

Tramite i cd. “patti di emersione” si materializza una concezione giuridica e politica individualizzata e punitiva della povertà e si legittima uno sgombero attraverso la “partecipazione”

Il progetto “La città possibile” si sviluppa nell’arco di 24 mesi, tra novembre 2013 e dicembre 2015.   Da presentazioni ufficiali del Comune di Torino, si evince che nella gestione del progetto hanno lavorato: – 6 organizzazioni del terzo settore con 32 operatori – 27 enti e associazioni con più di 60 operatori – 6 Direzioni del Comune di Torino Dai documenti ufficiali emerge che i potenziali beneficiari (i “meritevoli”) di questa operazione di “superamento” dei campi erano già sulla carta molti meno degli effettivi abitanti delle baraccopoli. Le persone firmatarie dello strumento principe de “La città possibile”, ovvero i cosiddetti “patti di emersione” sono infatti state solamente: – Lotto 1 – Lungo Stura Lazio: 633 persone – Lotto 1 – Corso Tazzoli: 24 persone Per i pochi beneficiari non si prospettava in ogni caso un futuro roseo. Le azioni principali di cui sono stati oggetto sono state o il rimpatrio in Romania, o ancora il trasferimento in strutture abitative che si sarebbero poi rivelate insostenibili. Va sottolineato che il dispositivo dei “patti di emersione” (“risorse, in cambio di responsabilità”), utile a legittimare lo sgombero attraverso discorsi imperniati su “legalità” e “partecipazione”, racchiude una concezione individualizzata e punitiva della povertà, come se si trattasse di una scelta. “Ai beneficiari de “La Città Possibile” è stato richiesto di firmare un “patto di emersione” con una serie di impegni, tra cui il rispetto della legge italiana e le norme specifiche del progetto. L’accordo si chiamava “patto di emersione”, riferendosi alla necessità di “emergere” dalla sfera informale della casa e del lavoro a quella formale. Non rispettare l’accordo era punibile con l’espulsione dal progetto – sanzione che colpiva l’intera famiglia. Come parte di un processo simbolico di rieducazione alle norme sociali della società civile, ogni famiglia selezionata doveva demolire la propria baracca e smaltire il materiale da costruzione come un passo prima di essere ricollocata, mentre la Croce Rossa sorvegliava le aree sgomberate per per evitare la rioccupazione da parte degli ex abitanti esclusi dal progetto. Un budget specifico di 457.985 € è stato assegnato a questa attività di sorveglianza.” (C. Vergnano, M. Manca, “When Housing Policies Are Ethnically Targeted: Struggles, https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-030-11373-5_6Conflicts and Contentions for a “Possible City”)   Il “patto di emersione” era in effetti un importante mezzo di intervento. Questo “patto” mirava a legittimare il progetto, a dimostrazione del suo carattere “non benefico”, “partecipativo” e “democratico”, secondo il discorso dei professionisti delle ONG. È importante sottolineare che gli abitanti delle baraccopoli non erano mai stati consultati in merito ai loro bisogni e alle loro preoccupazioni durante tutto il processo di elaborazione del progetto: gli è stato semplicemente chiesto di firmare un “patto” dopo l’inizio della sua attuazione. Come parte del patto, alle famiglie è stato chiesto di demolire le proprie baracche e separare i materiali da costruzione (legno, metallo, vetro) per la raccolta differenziata, garantendo così la “sostenibilità ecologica” del progetto di risanamento. Una donna della baraccopoli, Petronela, mi descrisse il momento in cui le fu chiesto di firmare il patto. È arrivata un’assistente sociale, mi ha detto “devi firmare questo” e mi ha dato un foglio e una penna. Le ho chiesto, “Che cosa succede se non firmo?”, “Va bene, sei fuori [dal progetto]”. Ha preso il foglio e la penna e se ne è andata. Così ho corso dietro di lei, “aspetta, aspetta!”. Alla fine ho firmato. ” (2015/02/02) (C. Vergnano, Citizens or clients? A neoliberal turn in Roma housing policies in Turin – https://www.academia.edu/31030164/Citizens_or_clients_A_neoliberal_turn_in_Roma_housing_plicies_in_Turin.doc) Accanto ai “patti di emersione”, i documenti indicano le seguenti attività, non meglio precisate: – Lotto 1 – Corso Tazzoli: Mediazione e monitoraggio di comunità (cca 250 persone) –  Lotto 2 – Germagnano autorizzato; Aeroporto autorizzato e Germagnano spontaneo: Analisi dei bisogni, mediazioni all’accesso ai servizi, sostegno delle fragilità e delle competenze genitoriali, accompagnamento alle regolarizzazioni (158 persone) – Lotto 2 – (Germagnano autorizzato; Aeroporto autorizzato e Germagnano spontaneo): Osservazione delle situazioni socio sanitarie, mediazione dei conflitti e consulenza per il Comune per l’individuazione dei beneficiari (700 persone) <<Nel caso del “campo rom” di Lungo Stura Lazio, una delle baraccopoli più grandi d’Europa, i beneficiari previsti dal progetto erano fin dall’origine 633, a fronte di una presenza nel 2013 di oltre mille abitanti (adulti e minori), in larga parte senza residenza e dunque esclusi da servizi fondamentali, in primis la salute. Per i beneficiari venivano previste le seguenti azioni: “1) Accompagnamento sociale per favorire l’inclusione e percorsi di formazione/lavoro; 2) Rimpatri in collaborazione con associazioni in loco; 3) Allocazioni urbane ed extra urbane; 4) Percorsi di inclusione abitativa; 5) Raccolta rifiuti; 6) Accompagnamento sociale e costi generali in fase di gestione e sistemazione transitoria”. Tali azioni si sarebbero concretizzate attraverso la sottoscrizione di “patti di emersione” individualizzati, tramite cui una parte degli abitanti della baraccopoli, selezionata dalle associazioni e cooperative, si impegnava a distruggere la proprie baracca ed ottemperare altri doveri, in cambio di una tra le seguenti alternative, a seconda della propria “meritevolezza”: “Inclusione abitativa in alloggio su mercato privato”, “Housing sociale temporaneo”, “Alloggio di supporto fragilità”, “Co Housing sperimentale”, “Autorecupero” o “Rimpatri volontari assistiti in Romania”.>>
Testi:   C. Vergnano, M. Manca, “When Housing Policies Are Ethnically Targeted: Struggles, https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-030-11373-5_6Conflicts and Contentions for a “Possible City”   C. Vergnano, Citizens or clients? A neoliberal turn in Roma housing policies in Turin – https://www.academia.edu/31030164/Citizens_or_clients_A_neoliberal_turn_in_Roma_housing_plicies_in_Turin.doc   Articoli, comunicati e corrispondenze radio:   https://www.facebook.com/Gattonero-Gattorosso-718198011628411/ https://radioblackout.org/2014/01/come-si-svuota-un-campo-rom/   https://radioblackout.org/2014/08/rom-a-torino-demolite-altre-baracche/   La versione degli “altri”   https://www.youtube.com/watch?v=130ajr8mDxM https://www.youtube.com/watch?v=7BLP9GXXx7U   Materiale sul progetto “La città possibile” prodotto dalla coop. Valdocco, capofila della cordata di associazioni e cooperative:   http://www.cav.lavaldocco.it/blog/340-esiti-del-progetto-la-citt%C3%A0-possibile.html   https://www.diocesi.torino.it/vicariato/wp-content/uploads/sites/23/2017/07/La-Citt%C3%A0-possibile.pdf   http://www.cav.lavaldocco.it/doc/bookcittapossibile.pdf   Video sul progetto in corso e parti del “capitolato” specifico del progetto “La città possibile”   https://www.youtube.com/watch?v=NGmGecSMrWQ   7 maggio 2014 – Determina del Comune di Torino   “SERVIZIO  STRANIERI  E  NOMADI    PROCEDURA  APERTA  N.  84/2013 – GESTIONE DI INIZIATIVE A FAVORE DELLA POPOLAZIONE ROM –  LOTTI 1, 2, 3 – DICHIARAZIONE DI EFFICACIA DELL`AGGIUDICAZIONE.”   http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2014/2014_02142.pdf

2014 –  2015

Nasce “Gattonero Gattorosso” – assemblea antirazzista informale – solidale con gli abitanti del campo di Lungo Stura Lazio sotto sgombero quotidiano
Nel corso del 2014 si forma l’assemblea antirazzista informale Gattonero Gattorosso, solidale con gli abitanti di Lungo Stura Lazio sotto sgombero e con le loro iniziative di lotta per resistere allo distruzione delle proprie case e avere un posto dove abitare. Gattonero Gattorosso segue le diverse azioni del progetto “La città possibile” in ogni sua fase, cercando di rendere visibile quanto accade in Lungo Stura Lazio per mano di istituzioni, forze dell’ordine, associazioni e cooperative. Contestualmente si organizza in assemblea con gli stessi abitanti del campo per realizzare una serie di auto-inchieste su quello che succede:
  • alle centinaia di persone escluse dal progetto, rimaste nella baraccopoli fino alla fine e
  • a chi viene rimpatriato in Romania
  • a chi viene temporaneamente spostato in appartamenti con affitti crescenti e insostenibili, o all’interno di housing sociali dove i “rom” vengono educati al vivere in alloggio e sono controllati dagli operatori secondo regole più simili a una caserma.
  Durante i mesi il collettivo diffonde alcuni comunicati scritti con l’assemblea degli abitanti di Lungo Stura Lazio e si organizza in solidarietà con i tanti che giorno dopo giorno rimangono  per strada, senza alcuna alternativa allo sgombero manu militari. Si tratta dei non “meritevoli”, di fatto la maggior parte della popolazione presente nella baraccopoli. Vengono documentate collettivamente anche le sorti della piccola parte di “meritevoli”, inizialmente beneficiaria del progetto, già sotto sfratto dopo pochi mesi e costretta a tornare in strada dato che gli affitti, inizialmente calmierati solo perché integrati dai fondi del progetto, raggiungono in poco tempo i prezzi del mercato privato risultando insostenibili.   Con il passare dei giorni e delle settimane si moltiplicano gli sgomberi, gli sfollamenti quotidiani, i fogli di via, le minacce da parte delle forze dell’ordine nei confronti di corpi che si vorrebbero letteralmente far sparire dalla città.   Con il passare del tempo molte delle persone escluse dal progetto, così come molte di quelle inizialmente incluse che a breve si sarebbero ritrovate in strada,  troveranno uno spazio in cui vivere nel campo “non autorizzato” di Via Germagnano, oggi sotto sgombero.

Link a comunicati, analisi, approfondimenti e corrispondenze radio dell’assemblea antirazzista informale Gattonero Gattorosso:

https://www.facebook.com/Gattonero-Gattorosso-718198011628411/

Settembre 2014 – Comunicato stampa del Comune di Torino sull’ennesimo sgombero della polizia in Lungo Stura Lazio, distruzione di baracche e l’allontanamento di 45 persone “che non avevano titolo o condizione giuridica per essere inserite in progetti di inclusione sociale”.

http://www.comune.torino.it/ucstampa/2014/article_631.shtml

26 febbraio 2015

Sgombero violento di circa 300  abitanti della baraccopoli di Lungo Stura Lazio, buttati in strada all’alba

Si tratta dello sgombero più grande e violento del 2015, con un enorme spiegamento di agenti e di mezzi. Le ruspe del Comune di Torino entrano nel campo e radono letteralmente al suolo centinaia di baracche. Svariate roulottes vengono trainate via. In un giorno almeno 300 persone si ritrovano di colpo senza casa e in mezzo alla strada, senza nessuna alternativa abitativa. Alle persone non viene dato nemmeno il tempo di mettere in salvo le proprie cose, ai malati non è permesso recuperare le medicine.

Come spesso accade, le uniche offerte di sistemazioni provvisorie per chi viene sgomberato sono poche notti in palestre o tendoni non idonei e assolutamente temporanei, che spesso separano anche le famiglie su basi di genere. La maggior parte di chi è sgomberato rifiuta queste proposte.

 

Alcune persone  fuggono in altre zone della città, altre chiedono ospitalità a chi vive ancora nel campo. Tra le persone buttate in mezzo alla strada si contano 62 minori (molti dei quali a scuola in quel momento), 5 donne in stato di gravidanza, molti neonati, persone con disabilità, anziani, persone malate, persone con disagio mentale.

 

Nel campo restano ancora almeno altre 400 persone (la metà dei quali minori di età) che si trovano sotto sgombero nei giorni successivi.
Gli avvocati Laura Martinelli e Gianluca Vitale insieme agli abitanti del campo preparano in pochi giorni un ricorso contro lo sgombero voluto e gestito dal Comune di Torino e lo presentano alla CEDU, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)

Video dello sgombero manu militari della baraccopoli di Lungo Strua Lazio:   https://www.youtube.com/watch?v=i_yGuKPI0Bs     Articoli e  corrispondenze audio https://www.21luglio.org/torino-in-corso-maxi-sgombero-forzato-200-rom/ https://radioblackout.org/podcast/rom-ruspe-e-polizia-e-business-in-lungo-stura/ http://www.asgi.it/media/comunicati-stampa/sgombero-a-torino-in-violazione-dei-principi-di-diritto-internazionale/ https://www.21luglio.org/torino-sgombero-lungo-stura-lettera-al-prefetto/?fbclid=IwAR3dxM5SZvzq8MzkPGU_7_eWourovpHnn1EmCBf3eUkVLcsfqUJa23Todvc COLLECTIVE COMPLAINT: Amnesty International against The Italian Republic, EUROPEAN COMMITTEE OF SOCIAL RIGHTS – COMITÉ EUROPÉEN DES DROITS SOCIAUX, 25 March 2019, Case Document No. 1, Complaint No. 178/2019  https://rm.coe.int/cc178casedoc1-en/168093aac2 (5.5 – TURIN, LUNGO STURA LAZIO AND GERMAGNANO, FEBRUARY 2015 –JUNE2017. p. 36)

15 marzo 2015

“BASTA SGOMBERI E SPECULAZIONI NEL CAMPO ROM DI LUNGO STURA!”, comunicato degli abitanti della baraccopoli dopo lo sgombero del 26 febbraio
Un passaggio del comunicato scritto dall’Assemblea degli abitanti del campo di Lungo Stura Lazio la sera del 15 marzo 2015: […] “Nel campo di Lungo Stura fino all’anno scorso vivevano oltre 1.000 persone. Siamo arrivati in Italia 15 anni fa e abbiamo sempre vissuto in baracche, non per scelta, ma perchè non possiamo permetterci di pagare un affitto. In Romania abbiamo sempre vissuto in case, che lo Stato garantiva a tutti durante il regime di Ceaușescu, nonostante il razzismo contro i Rom esistesse anche allora. Siamo venuti in Italia perchè dopo il 1989 la situazione economica è diventata molto difficile: hanno chiuso miniere, fabbriche e collettivizzazioni dove molti di noi lavoravano, mentre le attività che alcuni gruppi rom svolgevano da secoli non hanno trovato spazio nell’economia capitalista. Siamo diventati disoccupati e senza reddito. Siamo venuti in Italia per cercare lavoro e qui abbiamo visto che i Rom vivevano in campi, mentre l’accesso alle case popolari era praticamente impossibile. Il mercato degli affitti di Torino, poi, è inaccessibile per chi come noi svolge lavori sottopagati che non ci permettono nemmeno di sfamarci. Così ci siamo adattati alla situazione, che è sempre stata molto dura, perchè non eravamo abituati a vivere in baracche, senza luce né acqua. Il campo di Lungo Stura si è velocemente ingrandito perchè molte persone scappavano qui dopo che polizia e vigili le sgomberavano da altre zone. Prima che la Romania entrasse nell’Unione Europea i poliziotti venivano spesso nei campi, all’alba, per fare retate e spaccare tutto: ci prendevano, ci portavano in questura e spesso ci chiudevano nei CIE o ci mettevano direttamente sugli aerei per espellerci. […]”  
>Link al Comunicato della Assemblea abitanti del campo di Lungo Stura Lazio e Gattonero Gattorosso “BASTA SGOMBERI E SPECULAZIONI NEL CAMPO ROM DI LUNGO STURA !” Torino, 15 marzo 2015   https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=739687459479466&id=718198011628411&substory_index=1      

18 marzo 2015

Retata all’alba della polizia al campo di Lungo Stura: dal “superamento dei campi rom” alla loro moltiplicazione

Almeno 100 persone vengono prelevate all’alba dalla polizia e portate in Questura. A molte di loro viene assegnato un foglio di via in previsione di alcuni rimpatri immediati.

Centinaia di fogli di via vengono dati alle persone che vivono nel campo: fogli di via spesso identici a quelli di altre retate.

 

Come gli sgomberi, anche le retate della polizia e i fogli di via si ripetono continuamente nel corso del progetto. Le retate all’alba, le giornate intere trascorse dentro i commissariati o in questura, le minacce continue di sgombero e di deportazione, rappresentano una delle strategie essenziali di logoramento dei residenti della baraccopoli da parte delle Forze dell’Ordine e delle istituzioni, affinché una parte delle persone decida di sparire da sola e “auto-sgomberarsi”, cercando altrove un’altra sistemazione nel silenzio e nell’invisibilità.

 

Di fatto, contrariamente al famoso slogan del “superamento dei campi rom”, il progetto “La città possibile” ha prodotto la loro moltiplicazione, estremizzando se possibile la precarietà in cui le persone già vivevano.

19-20 marzo 2015

Viene contestato  all’Università degli Studi di Torino il convegno dal titolo “Per l’inclusione abitativa dei rom e sinti. Pratiche e strumenti tra ricerca e policy”

Un convegno ad hoc sul progetto “La città possibile” – con il patrocinio dalla Città di Torino – organizzata da docenti e ricercatori/ricercatrici esperte di “rom e sinti”, su come e dove dovrebbero abitare “rom e sinti”, sulla bontà del ricco progetto torinese a targa PD “La città possibile” e sull’offerta della loro imprescindibile expertise accademica in previsione del “superamento” di altri campi. Alla conferenza viene invitata la vicesindaca Tisi – responsabile politica del progetto “La città possibile” – che all’ultimo momento non si presenta, ma invia una delegata che si limiterà a leggere un testo. Una conferenza tra esperti ed esperte non rom e non poveri, in cui si parla del campo di Lungo Stura Lazio, dei suoi abitanti e del loro sgombero senza nessun abitante presente e/o invitatx. La conferenza viene contestata dall’assemblea antirazzista Gattonero Gattorosso, che interrompe gli interventi esperti con cori e questo testo letto ai microfoni: « È sempre possibile dire il vero nello spazio di una esteriorità selvaggia; ma non si è nel vero se non ottemperando alle regole di una ‘polizia’ discorsiva che si deve riattivare in ciascuno dei suoi discorsi. » (M. F.) Torino, 19 marzo 2015 Questa mattina all’alba doveva scattare un’ulteriore operazione di sgombero nel campo rom di Lungo Stura. L’ennesima dall’estate 2014, a poche settimane di distanza da quella del 26 febbraio, in cui oltre 100 persone sono finite in mezzo alla strada senza preavviso né alternativa abitativa, mentre le loro baracche venivano distrutte dalle ruspe della Città di Torino. A rovinare i piani istituzionali è intervenuto il ricorso presentato da cinque famiglie residenti nel campo, rappresentate dall’avvocato Gianluca Vitale, il cui successo coincide con la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di imporre al governo italiano la sospensione immediata dello sgombero fino al 26 marzo, con la richiesta che vengano fornite informazioni in merito alla ricollocazione abitativa dei nuclei. E’ la prima volta che la Corte sospende lo sgombero di un campo rom in Italia. Ad esser maliziosi vien da pensare che la Città di Torino la stia facendo davvero grossa. Le operazioni di sgombero fanno tutte parte del mega-progetto “La città possibile”, con il quale la Città di Torino fa vanto di “superare” i campi nomadi e la cui gestione è monopolio della cordata Valdocco – AIZO – Stranaidea – Liberitutti – Terra del Fuoco – Croce Rossa, cui è stato affidato un appalto dal valore di 5.193.167,26 euro stanziati dal Ministero dell’Interno, nell’assenza di alcun monitoraggio indipendente. L’implementazione di questa “buona pratica” nel campo rom “informale” più grande d’Europa, quello di Lungo Stura, dove da 15 anni vivevano oltre 1.000 persone provenienti dalla Romania, bacino di manodopera sottocosto per le economie formali ed informali della città, ha previsto l’arbitraria separazione degli abitanti del campo in “meritevoli” ed “immeritevoli”, “civilizzati” e “barbari”, “adatti” ed “inadatti” ad una condizione abitativa autonoma e dignitosa. Ai primi – appena 250 persone a fine gennaio 2015 – l’offerta di una casa temporanea o la collocazione in sistemazioni di housing sociale a metà tra la caserma e l’asilo, o ancora il rimpatrio “volontario” in Romania; ai secondi – ben oltre 600 persone – lo sgombero forzato senza alternativa abitativa da portare a termine entro il 31 marzo, appena sospeso dalla CEDU dopo che oltre 100 persone ne sono già state oggetto. Nel frattempo, dopo la retata della polizia al campo di mercoledì mattina, una ventina di persone si ritrovano oggi con in mano un foglio di via che intima loro di lasciare l’Italia entro 30 giorni, come è successo a decine di altri nel corso dell’ultimo anno. Due persone sono invece rinchiuse nel CIE di Torino in attesa di espulsione coatta. Nella totale assenza di coinvolgimento delle famiglie del campo nelle fasi di elaborazione ed implementazione del progetto ed in mancanza di alcun criterio trasparente o possibilità di ricorso, la Città di Torino si è così arrogata il “diritto” al monopolio della violenza persino oltre i limiti imposti da uno stato di diritto già strutturalmente fondato sull’occultamento del conflitto di classe e sulla romofobia. Attraverso lo sgombero forzato di chi non può accedere al “libero” mercato degli affitti né alle case popolari – e si trova così costretto, dopo secoli di stanzialità, ad un nomadismo forzato attraverso cui si costruisce lo stigma “culturale” utile ad etnicizzare lo spazio politico e sociale – si sta portando avanti una violenta politica repressiva e speculativa che garantisce i profitti economici e simbolici di pochi noti, devastando la vita di molti. Nulla di nuovo rispetto alle strategie di governo del sociale che da tempo caratterizzano lo spazio metropolitano torinese, dove le politiche di “riqualificazione” urbana nelle diverse periferie vengono portate avanti tramite sfratti, sgomberi, retate e speculazioni che rispondono a precisi interessi economici. Non importa che nel campo vivano donne in stato di gravidanza, persone anziane e malate e minori frequentanti la scuola. Non importa neppure che la loro presenza invisibile dati di oltre un decennio e sia situata su un terreno decisamente poco appetibile per grandi investimenti. Dietro all’ideologia “democratica” sui cui si fonda la retorica di questo progetto di speculazione e sgombero, di cui il nome stesso – “La città possibile” – è emblema, si cela, come sempre, la materialità delle risorse e degli interessi economici che determinano forze e rapporti di forza in campo. Qual è la genealogia di questo progetto milionario? Chi ha partecipato alla definizione dei termini del suo “discorso”? In quali spazi ed attraverso quali processi? Quali effetti sono stati prodotti rispetto alla creazione di “soggetti” ed “oggetti”? Con quali conseguenze nello spazio politico locale e sovra-locale? In base a quali criteri sono state scelte le famiglie? Di che natura è lo strumento governativo definito “patto di emersione”? Quali rappresentazioni e vincoli impone all’azione ed alla vita quotidiana delle persone? Qual è la sostenibilità economica delle sistemazioni abitative per le famiglie? Perchè vengono costrette alla dipendenza da associazioni e cooperative? Cosa succederà alle famiglie quando finiranno i contributi agli affitti non calmierati? Lo sgombero senza alternativa abitativa “supera” un campo per crearne altri? Quale percentuale dei 5.193.167,26 euro è stata spesa per “costi di gestione”? Chi sono i proprietari degli immobili nei quali alcune famiglie sono state collocate? Quanto è costato lo sgombero manu militari del campo di Lungo Stura? Queste sono solo alcune delle domande a cui una delle principali responsabili politiche del progetto, la vicesindaco Tisi – invitata ad inaugurare un’imbarazzante conferenza sull’inclusione abitativa dei Rom, patrocinata niente meno che dalla Città di Torino proprio mentre la stessa porta avanti un’operazione di speculazione e sgombero sulla pelle dei Rom – non ha evidentemente molta voglia di rispondere. Informata della presenza di un gruppo di antirazzisti/e all’evento, ha preferito scappare, lasciando alla platea una missiva greve di retorica e compassione per i “poveri senza tetto” che ben si addice ad un’esponente di punta del PD torinese, da anni al governo della capitale italiana degli sfratti. Una conferenza tenutasi a pochi chilometri dal campo rom di Lungo Stura – dove centinaia di persone vivono nell’incertezza radicale rispetto al loro presente e sotto la costante minaccia della violenza poliziesca – in cui non si è percepita in alcun modo la materialità dei processi di speculazione, repressione e ricatto in atto, né la sofferenza dei soggetti che subiscono quotidianamente gli effetti di queste politiche “virtuose” con cui la Città di Torino pensa di farsi pubblicità; una conferenza in cui gli unici assenti erano proprio questi soggetti, ai quali i “ricercatori critici” hanno pensato bene di concedere statuto di esistenza unicamente in qualità di “oggetti” dei discorsi e dello sguardo altrui; una conferenza dove non è stato minimamente problematizzato il nesso tra potere e sapere, ma è stata anzi offerta legittimazione alle istituzioni ed al loro operato, accogliendole come interlocutori credibili – uno sguardo al programma, ai termini del discorso ed agli sponsor in esso contenuti è sufficiente a capire quali siano le differenti “agende” che nell’iniziativa hanno trovato felice saldatura. Non vanno sprecate ulteriori parole. La presenza degli antirazzisti/e ha portato uno squarcio di realtà e materialità in una Aula Magna dove ad un’analisi del potere politico e dei rapporti di classe nello spazio metropolitano, di cui la questione abitativa è parte, si è ancora una volta preferito il comodo sguardo culturalista sui Rom come luoghi dell’eccezione. All’ipocrita retorica della “cittadinanza” e del “diritto di parola” (comunque negato), abbiamo risposto con la presa diretta della parola. Nè “partecipanti” ad un confronto che non è mai esistito, né “portavoce” di un popolo o di qualsivoglia bandiera. Lontani dalla melmosa palude della “rappresentanza” – di cui altri sembrano invece tanto ossessionati – abbiamo usato i nostri corpi come amplificatori delle voci dell’assemblea degli abitanti del campo rom di Lungo Stura, dove si sta combattendo una guerra sociale. Assemblea Gatto Nero Gatto Rosso

18 marzo 2015

La Corte Europea dei Diritti dell’uomo (CEDU) accoglie la domanda di sospendere temporaneamente lo sgombero di Lungo Stura Lazio

È la prima volta che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) sospende lo sgombero di un campo rom in Italia.

Gli avvocati Laura Martinelli e Gianluca Vitale insieme agli abitanti del campo erano riusciti, dopo il mega sgombero del 26 febbraio 2015, a preparare un ricorso e a presentarlo alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.

Durante le operazioni di sgombero a molti nuclei famigliari (con presenza di minori, di persone malate, anziane, donne in stato di gravidanza, ecc..) viene detto solamente di andarsene, di sparire, o vengono proposte soluzioni provvisorie e ultra precarie che separano le famiglie.

Il 18 Marzo 2015, una volta analizzato il ricorso, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ordina al Comune di Torino di fornire maggiori dettagli e informazioni sulla situazione delle famiglie che hanno presentato il ricorso, sospendendo ogni nuova operazione di sgombero forzato già previsto da istituzioni e forze dell’ordine secondo un calendario serrato che si doveva chiudere entro il 31 marzo 2015, in modo da poter concentrare tutte le forze di polizia sull’arrivo di turisti e pellegrini per l’ostensione della Sindone.

In pochi giorni il Comune di Torino presenta alla stessa Corte qualche informazione sulla supposta “riallocazione” delle “persone vulnerabili” ed il 27 marzo 2015 ottiene così l’autorizzazione a procedere con il progetto e i successivi sgomberi forzati.

“È la prima volta che la corte sospende lo sgombero di un campo in Italia ed il Comune dovrà dare informazioni sulla sistemazione alternativa degli occupanti. La Corte europea per i diritti dell’uomo ha sospeso lo sgombero del campo nomadi di Lungo Stura Lazio a Torino, abitato da rom di origine romena. I giudici, accogliendo un ricorso di cinque famiglie, hanno bloccato le procedure fino al 26 marzo, ordinando al governo italiano di fornire informazioni sulla sistemazione degli occupanti.[…]” (fonte: La Repubblica, 19/3/2015) https://torino.repubblica.it/cronaca/2015/03/19/news/la_corte_europea_sospende_lo_sgombero_del_campo_nomadi_di_lungo_stura_lazio-109943616/ Link articoli: https://www.facebook.com/notes/742729282508617/?__tn__=HH-R https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/cacciati_senza_alternative_l_ue_blocca_lo_sgombero_di_un_campo_rom# Radio https://radioblackout.org/2015/04/la-cedu-e-i-rom-casa-per-tutti/ https://radioblackout.org/2015/06/campi-rom-tra-sgomberi-e-buoni-affari-assemblea-giovedi/

26 marzo 2015

Giorgio Molino, proprietario di migliaia di immobili a Torino, è inquisito nell’ambito del progetto “La città possibile”

«In corso Vigevano c’è un edificio che “accoglie” diverse famiglie. Si trova sopra ad una discoteca non isolata acusticamente, che mette musica dal martedì alla domenica, è sorvegliato da videocamere e l’uso del suo spazio è soggetto ad un regolamento severo: divieto di avere ospiti durante la notte, proibizione di “ingombrare” i corridoi anche solo con i passeggini, divieto di sostare sul marciapiede antistante, 2 euro per fare una lavatrice (con il proprio detersivo). L’housing sociale di Corso Vigevano è gestito da un’associazione la cui presidente, in una conversazione privata, ha dichiarato che “Questo posto è abbastanza vicino al centro, ma è un quartiere di miserabili, Marocchini, Tunisini… va bene per i Rom.” »

(C. Vergnano, 2015, “La città possibile. L’etnicizzazione di un conflitto urbano”, libera traduzione dal catalano)

 

Giorgio Molino, noto palazzinaro torinese,  viene indagato – insieme ad alcune associazioni e organizzazioni gestori del progetto “La città possibile” – come proprietario di immobili affittati per “accogliere” diverse famiglie spostate dalla baraccopoli. In particolare, nelle proprietà di Molino di Corso Vigevano 41 – che percepisce gli affitti da AIZO (Associazione Italiana Zingari Oggi) – vengono sistemate provvisoriamente 26 famiglie rom e non rom gradualmente sgomberate dal campo di Lungo Stura Lazio in “appartamenti” privi di abitabilità e che erano già stati posti sotto sequestro nel 2012 dalla polizia municipale per abusi edilizi.

Di seguito il comunicato dell’Ufficio stampa del Comune del 12 aprile 2012:

 

SEQUESTRATO UN INTERO PIANO DI UN EDIFICIO IN CORSO VIGEVANO

Stamani agenti del Nucleo Progetti Operativi della Polizia Municipale hanno sequestrato per abusi edilizi un intero piano di un edificio di corso Vigevano 41 e 43: la proprietà risulta essere di Giorgio Molino, personaggio già noto alle cronache giudiziarie torinesi per vicende simili.

In tutto l’edificio sono stati effettuati controlli accurati e mirati, e sono stati accertati numerosi illeciti.

 

Fonte:

 

http://www.comune.torino.it/ucstampa/2012/article_359.shtml

Diventa di dominio pubblico un fatto di cui gli antirazzisti parlavano da tempo : l’immobile di Corso Vigevano 41, nel quale sono state collocate in regime di “social housing” diverse famiglie del campo rom di Lungo Stura, è direttamente amministrato ed indirettamente posseduto da Giorgio Molino. I soldi stanziati dal Ministero dell’Interno per il progetto “La città possibile” del Comune di Torino finiscono così anche nelle tasche di colui che è meglio noto come “Ras delle soffitte”, dal momento che ha costruito il proprio impero affittando tuguri e mansarde fatiscenti a profughi e persone senza documenti a prezzi impossibili (da 300 a 600 euro al mese per un posto letto) ed è per questo stato anche condannato ai domiciliari nel 2007.

 

Inoltre la destinazione d’uso dell’immobile di Molino non è residenziale. Si spiega quindi una delle ragioni (politiche, perchè dal punto di vista normativo andrebbe comunque garantita) per cui non viene riconosciuta la residenza alle famiglie rom che ivi sono state collocate da A.I.Z.O. sotto l’egida del Comune di Torino.

 

Nel corso del progetto seguiranno altre inchieste e scandali che coinvolgeranno ad esempio l’operato dell’associazione Terra del Fuoco in merito all’appalto per la pulizia delle macerie presenti tuttora in Lungo Stura Lazio.

Assemblea Gattonero Gattorosso:   https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=745786708869541&id=718198011628411&substory_index=0&__tn__=K-R   Link e articoli:   Da La Repubblica del 26 marzo 2015   https://torino.repubblica.it/cronaca/2015/03/26/news/molino_da_ras_delle_soffitte_a_fornitore_del_comune-110480561/   Italiano, P. (2016). Terreni e residence per i rom: “Bugie per ottenere l’appalto”, La Stampa, Cronaca di Torino.   Altri link   Vergnano, C. 2015, “La Città Possibile. La etnificación de un conflicto urbano” https://observatoriconflicteurba.org/2015/02/15/la-citta-possibile-la-etnificacion-de-un-conflicto-urbano-y-2/     Vergnano, C. (2015) “La etnificación del conflicto. Asentamientos rom, proyectos urbanísticos e intervenciones sociales en la ciudad de Turín, Italia”, en Arico, G., Mansilla, J. y Stanchieri, M., Mierda de ciudad: una rearticulación crítica del urbanismo neoliberal desde las ciencias sociales, Barcelona: Pol·len. https://mirafioridopoilmito.it/wp-content/uploads/materiali/articoli_riviste/La_etnificacion_del_conflicto._Asentamie.pdf  

27 marzo 2015

Giunge la comunicazione dalla CEDU, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che dopo aver ricevuto le informazioni richieste dal governo decide di togliere lo stop cautelare al provvedimento di sgombero

Di seguito il tenore delle dichiarazioni di politici torinesi e piemontesi leghisti in merito alla raccomandazione della CEDU, la Corte Eurpea dei Diritti dell’Uomo, che avverte le autorità italiane di non procedere a nuove operazioni di sgombero delle famiglie che hanno presentato ricorso se non è assicurata una sistemazione dignitosa (in alloggio), in caso contrario lo Stato potrebbe incorrere in un nuovo fermo dello sgombero e se decidesse comunque di procedere in una condanna per violazione dei diritti delle famiglie ricorrenti.   «Per sgomberare il campo rom abusivo di Lungostura Lazio occorre garantire preventivamente agli occupanti un alloggio. E ai nostri cittadini che restano senza lavoro e senza casa, invece? Nessun diritto?» è il commento del segretario piemontese della Lega Nord, Roberto Cota. Il deputato della Lega Stefano Allasia si augura «che il comune di Torino non dia seguito a questo messaggio pseudo mafioso e prosegua con lo sgombero immediato di quel campo abusivo. Con tutti i torinesi disoccupati e senza casa, l’ultimo dei nostri problemi è dove andranno a vivere i rom che occupavano abusivamente un campo». Per Allasia si tratta di velate minacce all’Italia con cui raccomanda di tutelare prima i rom dei nostri cittadini.   (fonte: http://www.nuovasocieta.it/strasburgo-prima-dello-sgombero-case-ai-rom-lega-messaggio-mafioso/?fbclid=IwAR0ZABDuQfuLNAppb0eQfhYfOOsHo8iK1n1uZQ3pSySEufEtYe-i65kC_C0 )
Link all’articolo   “Le autorità di Torino possono procedere con lo sgombero del campo rom di Lungostura Lazio a Torino, ma prima devono poter assicurare un’accoglienza immediata alle famiglie». In caso contrario potrebbero incorrere in una condanna per la violazione dei diritti dei membri dei nuclei familiari. È quanto dichiarato all’Ansa dalla Corte Europea dei diritti umani a cui si erano appellate cinque famiglie per impedire lo sgombero. Ma vediamo i fatti. Il 19 marzo i giudici europei avevano ordinato alle autorità italiane di non procedere con lo sgombero del campo rom proprio alla luce della richiesta di intervento rivolta alla Corte di Strasburgo delle famiglie coinvolte e toccate nei loro diritti. Il 27 marzo Strasburgo, dopo aver ricevuto le informazioni richieste dal governo, ha deciso di levare lo stop cautelare al provvedimento di sgombero.” […]   http://www.nuovasocieta.it/strasburgo-prima-dello-sgombero-case-ai-rom-lega-messaggio-mafioso/?fbclid=IwAR0ZABDuQfuLNAppb0eQfhYfOOsHo8iK1n1uZQ3pSySEufEtYe-i65kC_C0   Corrispondenza su radioblackout https://radioblackout.org/2015/04/la-cedu-e-i-rom-casa-per-tutti/?fbclid=IwAR0VFZwUCSd_CexUgJf8nNwVoMrMlOM8xToPM1k53DqitB9VyQxixY7C3is

marzo – aprile 2015

Gli abitanti  rimasti nella baraccopoli e i solidali continuano ad auto-organizzarsi per resistere al prossimo sgombero
Si moltiplicano le assemblee, in cui gli abitanti della baraccopoli hanno cominciato ad auto-organizzarsi insieme ai solidali, perché al prossimo sgombero nessuno venga più lasciato solo di fronte alle ruspe, alla polizia, agli agenti della polizia municipale.

maggio 2015

Il Comune di Torino comunica che entro fine giugno il campo di Lungo Stura Lazio sarà sgomberato con la forza

27 maggio 2015

Fiaccolata contro i “campi rom” indetta da Forza Nuova e Fratelli d’Italia e da “residenti e commercianti di Barriera” contro i campi di Via Germagnano. Un presidio antifascista e antirazzista si dà appuntamento in via Germagnano.
Gruppi misti di cittadini ed esponenti di partiti neo fascisti, apertamente razzisti e xenofobi, si preoccupano per la salute e l’ambiente imputando tutte le responsabilità ai roghi tossici provocati dai rom (e non ad altri fattori estremamente critici in una città inquinata come Torino). Da mesi in vari quartieri della città diversi “comitati” di cittadini sono chiaramente pilotati da esponenti di forze neo fasciste e xenofobe e provano ad innalzare il livello della violenza e dei discorsi di odio nei confronti delle popolazioni rom. In questo caso si intende approfittare del pretesto di un raid al canile di Via Germagnano per continuare a propagare odio e violenza anti-rom attraverso una serie di manifestazioni nel quartiere di Barriera di Milano, la prima delle quali è una “fiaccolata” organizzata da Fratelli D’Italia e Forza Nuova di fronte ai campi di via Germagnano, mentre per il sabato 30 maggio è prevista una manifestazione fascio-ambientalista contro “i fumi dei campi nomadi”. La  Questura autorizza la fiaccolata, a cui aderisce anche ENPA, mentre emergono le prime ombre sulla sua ricostruzione del raid al canile. Nel 2011 una fiac­co­lata con­tro uno stu­pro inven­tato, a cui parteciparono anche esponenti del PD, ter­minò con un pogrom al campo rom della Continassa. Nella stessa sera del 27 maggio 2015, in risposta alla fiaccolata dai contenuti apertamente fascisti e razzisti, viene organizzato un presidio antifascista e antirazzista insieme agli abitanti dei diversi campi che esistono da decine di anni in via Germagnano, periodicamente presi di mira da partiti di estrema destra e partiti xenofobi (Forza Nuova, Lega) oltre che da vari gruppuscoli fascisti, neo-fascisti e da fantomatici comitati “spontanei” di quartiere apertamente romofobi e razzisti. Decine di rom e antirazzisti si oppongono, al canto di “Bella Ciao”, alla lugubre fiaccolata.

30 maggio 2015

Presidio antirazzista degli abitanti dei campi di Via Germagnano e Lungostura Lazio e solidali contro un piccolo gruppo di cittadini, vicini a formazioni neo-fasciste, che  avevano programmato l’ennesima marcia vicino ai campi di via Germagnano

Comitati vicini a varie formazioni neo-fasciste organizzano un corteo da piazza Rebaudengo a via Ivrea, passando davanti ai campi rom.  Tra le sigle: CO.DI.CI, CCST (Coordinamento Comitati Spontanei Torinesi), Torino in Movimento – ex Comitato di corso Montegrappa, Comitato di via Artom. Nel loro mirino i “fumi” dei falò accesi per liberare dalle loro guaine i fili di rame. A Torino, tra le città più inquinate d’Italia, avvelenata da traffico automobilistico, emissioni industriali, inceneritori, ce la si prende con i poveri, della cui salute non interessa a nessuno.   La Questura autorizza la marcia. Un centinaio di rom e solidali esce di uscire dai campi-ghetto e blocca la strada, obbligando alla veloce ritirata i vari gruppetti. Il presidio con la presenza di molti abitanti dei vari campi “rom” presenti in Barriera di Milano e di decine di solidali fa infatti restare fermo al fondo di corso Vercelli il gruppo di circa 50 “cittadini” convocati e organizzati da formazioni neo-fasciste che volevano nuovamente sfilare, a pochi giorni di distanza dalla fiaccolata di Forza Nuova, vicino ai campi di via Germagnano. Si sono dovuti fermare dopo 200 metri perché rom e solidali gli hanno bloccato la strada prima ancora che partissero.   “Nel mirino dei “comitati” questa volta c’erano i “fumi” dei falò accesi nei campi per liberare dalle guaine i fili di rame. Peccato che i rottamatori di rame siano lavoratori in nero sfruttati da italianissimi grossisti, gli unici ad arricchirsi con l’oro rosso. Rom e sinti sono l’ultimo anello della catena nel lucroso business del riciclo del rame: povertà e scarsi ricavi (anche 12 ore di lavoro al giorno per pochi euro) sono all’origine di una tecnica di recupero nociva che nuoce innanzitutto alla loro salute e che viene invece usata come pretesto dai razzisti per diffondere odio anti-rom.” si legge in una nota di Gattonero Gattorosso

18 giugno 2015

Serata informativa in quartiere: CAMPI ROM TRA SGOMBERI E BUONI AFFARI. Vivere in Barriera tra baracche, militari e speculazioni

Una serata informativa per la città e per il quartiere, per raccontare tutto quello che era accaduto nei mesi precedenti contro gli abitanti di Lungo Stura Lazio, ormai oggetto di continue operazioni di sgombero quotidiano, “a bassa intensità”, e alla enorme speculazione economica messa in atto dal progetto “La città possibile” sulla pelle della “popolazione rom”. All’iniziativa partecipano molti abitanti del Platz e persone solidali, gli interventi sono numerosi e si proiettano video dello sgombero violento di parte della baraccopoli di Lungo Stura nel febbraio 2015.

29 settembre 2015

Arresto di un ragazzo sgomberato nella baraccopoli: gli agenti della polizia municipale lo malmenano e lo arrestano.

Durante le ultime tappe forzate dello sgombero del campo un ragazzo e la sua famiglia occupano una baracca rimasta vuota perché la loro era stata distrutta quella stessa mattina. I vigili del “nucleo nomadi” di Torino intervengono e arrestano il ragazzo che prima di essere portato via aveva chiesto qualche giorno in più agli agenti per riuscire a trovare una sistemazione alternativa. Grazie ai video girati dalle persone presenti nel campo al momento dell’arresto l’avvocato Vitale potrà mostrare in tribunale una versione ben diversa da quella raccontata dai tre agenti in aula: un’agente estrae la pistola e la punta all’altezza delle persone, il ragazzo non oppone resistenza durante l’arresto e neppure quando viene fatto entrare nell’auto della polizia per essere portato via dal campo. Dai filmati risulta evidente che nessuno del campo si è avvicinato agli agenti.

Viene spruzzato contro il ragazzo anche dello spray al peperoncino in dotazione agli agenti.

 

Questa vicenda è stata seguita da diversi canali di informazione proprio per la chiarezza delle immagini prodotte dai testimoni rispetto alle dichiarazioni diametralmente opposte fornite a voce dai tre agenti della municipale (che arrivano in tribunale con referti medici e giorni di prognosi).

Successivamente, il 25 novembre 2015, i tre agenti vengono premiati dal sindaco Fassino e dal consiglio comunale ricevendo un solenne encomio per la loro professionalità.

Nonostante i video presentati durante il processo il ragazzo viene condannato per resistenza.

Video https://www.youtube.com/watch?v=xW9mzT5SIaY https://www.youtube.com/watch?v=l2hJH-790wg https://www.youtube.com/watch?v=AaZD0MTqg6Y   Link ad articolo https://torino.repubblica.it/cronaca/2015/10/21/news/aggressione_dei_vigili_al_campo_rom_un_video_contraddice_la_versione_dei_civich-125598390/ Link ad articolo https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/rom_sgomberati_video_mette_in_dubbio_l_accusa_di_violenza_noi_presi_a_calci_ PARALLEL REPORT by the European Roma Rights Centre Concerning Italy – For Consideration by the Human Rights Committee at its 1 17th session (20 June – 15 July 2016), Articles 12, 20 and 26 of the International Covenant on Civil and Political – Rights: Residential segregation and hate speech and violence:   […] In Turin, on 29 September 2015 three local police officers went to Lungo Stura Lazio informal camp to evict a Roma family who had just returned from Romania and occupied a shack. One family member who tried to resist the eviction was pepper-sprayed, handcuffed, and forced to the ground by police officers. Another police officer drew his gun and pointed it at onlookers. According to available evidence  the police reaction was disproportion-ate. There has been no investigation into police conduct but the Romani man was charged and found guilty on 17 February 2016 with assault and causing injury to the three police officers. https://tbinternet.ohchr.org/Treaties/CCPR/Shared%20Documents/ITA/INT_CCPR_ICO_ITA_23853_E.pdf http://www.errc.org/uploads/upload_en/file/italy-iccpr-25-april-2016.pdf

Inizio ottobre 2015

13 famiglie “riallocate” dalla baraccopoli si trovano sotto sfratto nell’housing sociale gestito da AIZO, di proprietà di Giorgio Molino.  

Nell’”esperimento”di social housing di Corso Vigevano gestito da AIZO e di proprietà di Giorgio Molino, già indagato da marzo 2015 per le speculazioni che riguardano il progetto “La città possibile”, iniziano vari tentativi per allontanare le famiglie da quello spazio.

Negli appartamenti assegnati a famiglie “riallocate” dalla baraccopoli ci sono pochi bagni e non c’è il gas. Si inizia a fare pressione sui nuclei presenti perché lascino quello spazio, minacciando sfratti, perché il business è finito. Anche in queste sistemazioni “temporanee” le famiglie ovviamente non riescono a pagare gli affitti a Giorgio Molino e i fondi de “La città possibile” assegnati alle associazioni sono già terminati.

E’ importante sottolineare che anche i “meritevoli”, coloro che avevano stipulato un contratto con le organizzazioni del progetto per “emergere dall’illegalità” e “rispettare le regole” abitative e lavorative “civili”, firmando  il “patto di emersione”, non sono mai stati inseriti nel registro anagrafico cittadino: la loro condizione transitoria in case è restata pertanto identica a quella del periodo in cui vivevano nel campo e cioé senza documenti, senza residenza, senza tessera sanitaria, senza la possibilità di avere un contratto di lavoro.

 

Sull’esperienza delle famiglie “riallocate” da Lungo Stura Lazio in via Traves si può leggere l’interessante contributo di Manca, Vergnano “When Housing Policies Are Ethnically Targeted: Struggles, Conflicts and Contentions for a “Possible City”

https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-030-11373-5_6

Link

https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=837258999722311&id=718198011628411

Testo

“When Housing Policies Are Ethnically Targeted: Struggles, Conflicts and Contentions for a “Possible City”

https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-030-11373-5_6

12 ottobre 2015

Contro sgomberi e sfratti: corteo di protesta degli abitanti della baraccopoli di Lungo Stura Lazio e solidali per le vie del centro di Torino
Entro la fine dell’anno sarà tutto finito. Baraccopoli demolita, sfratti eseguiti, famiglie in strada, cinque milioni di euro assorbiti dalle associazioni coinvolte nell’operazione “la città possibile”. Oltre a Valdocco, AIZO, Terra del Fuoco, Stranaidea, Liberi Tutti, Croce Rossa. Due anni dopo l’inizio del progetto, l’obiettivo è ormai chiaro a tutti: sgomberare il campo rom non autorizzato più grande d’Europa, senza offrire nessuna alternativa abitativa. Chi, come la famiglia di Aramis, ha provato a tornare alle baracche lungo la Stura, si è trovato di fronte vigili urbani, che non hanno esitato ad usare spray urticanti, estrarre pistole, mollare pugni, immobilizzare al suolo e arrestare. (…) Il patetico tentativo di infiltrazione nel corteo da parte di A.I.Z.O. è stato respinto con forza dalle famiglie sotto sfratto dal social housing di Corso Vigevano, gestito dall’associazione e di proprietà del Ras delle soffitte Giorgio Molino. La piazzata dell’esponente “post-fascista” di Fratelli d’Italia, Maurizio Marrone, invece, poteva solo suscitare risate, visto che il prode consigliere anti-immigrati ha lanciato dal Comune volantini con gli orari dei bus dalla Romania a Torino…”. (Dal manifesto del corteo)   Centinaia di abitanti del campo di Lungo Stura Lazio sotto sgombero, le famiglie sotto sfratto dal social housing di corso Vigevano e da altre “sistemazioni temporanee”,  oggetto delle operazioni più o meno violente del progetto “La città possibile”, danno vita ad un corteo di lotta per la casa, contro sgomberi e sfratti, per le strade del centro di Torino. Moltissimi sono gli interventi che raccontano davanti al Comune, alla Prefettura, alla sede della RAI cosa è loro capitato con l’operazione speculativa de “La città possibile”: raccontano come sono stati trattati negli anni da istituzioni, forze dell’ordine, associazioni e cooperative complici del progetto.   Un’operazione costata circa 5 milioni di euro, volta al “superamento dei campi nomadi” ma che nei fatti si è rivelato uno sgombero “silenzioso”, senza alcuna alternativa abitativa per migliaia di persone che vivevano nella “baraccopoli” più grande dell’Europa occidentale e che ha solo moltiplicato e rafforzato la logica dei campi, obbligando le persone sfollate a cercare nuove sistemazioni.   Il progetto inoltre non è mai stato sottoposto ad un monitoraggio indipendente e ad oggi non è mai stato rivelato il costo dello sgombero manu militari del campo.

19 ottobre 2015

Ennesimo sgombero nel campo di Lungo Stura Lazio, che lascia senza u tetto sulla testa almeno 40 famiglie

Nuovo sgombero forzato all’alba da parte delle forze dell’ordine per centinaia di persone che ancora vivono nella baraccopoli, rimaste escluse dal progetto “La città possibile”. Le ruspe del Comune distruggono decine di baracche che per molte persone hanno rappresentato una casa per tanti anni, lasciando gli abitanti del campo per strada senza alcuna alternativa abitativa.

20 ottobre 2015

Ancora uno sgombero forzato nel campo di Lungo Stura Lazio: parte un corteo spontaneo da Lungo Stura che occupa l’Ufficio Nomadi di via Bologna 55

Un gruppo di abitanti di Lungo Stura Lazio, nuovamente sgomberato all’alba, decide di uscire dal campo e di dirigersi verso le strutture dell’“Ufficio Nomadi” del Comune di Torino in via Bologna. I funzionari del Comune si barricano nei loro uffici e nessun responsabile si fa vedere nè accetta di parlare con le persone presenti. L’indifferenza delle istituzioni della Città di Torino tocca uno dei suoi massimi livelli e nega qualsiasi possibilità di parola alle persone della baraccopoli buttate per strada senza alternativa e mai coinvolte nel progetto “La città possibile”, ma sempre trattate come oggetti. Ormai è evidente l’intenzione di ridurre tutto al silenzio e di chiudere in fretta l’intera operazione, che evidentemente è molto più simile ad un intervento di “pulizia etnica” che ad un interesse per le condizioni di vita o sanitarie di chi ha vissuto in quel campo, “tollerato” dal Comune per ben 15 anni. “Ora all’ufficio nomadi in via Bologna 55. I responsabili del Comune di Torino non si fanno vedere. Non ce ne andiamo finche’ non ci spiegano perche’ ci hanno buttati in mezzo alla strada senza alternative abitative, mentre raccontano alla citta’ che hanno speso 5 milioni di euro per dare una casa ai rom. La baraccopoli la stanno distruggendo pezzo a pezzo, mentre stanno sfrattando le famiglie dai social housing. 2000 persone buttate in mezzo alla strada in due anni. Questo il capolavoro del Comune di Torino e della Prefettura.” (Gatto Nero Gatto Rosso)

1 novembre 2015

Occupazione della caserma di Via Asti Est (Caserma La Marmora in Via Asti 22, a Torino), già precedentemente “occupata” nell’aprile 2015, con l’avallo del consiglio comunale, tra gli altri da  “Terra del fuoco”, una delle associazioni de “La città possibile”  
Le famiglie sotto sgombero dalla baraccopoli di Lungo Stura e sotto sfratto dal social housing di corso Vigevano e via Traves, così come da altri appartamenti de “La Città possibile” decidono insieme ad un gruppo di solidali di occupare la caserma “La Marmora”, un complesso di circa 20.000 metri quadrati vuota e inutilizzata da anni. L’occupazione della zona EST, denominata dai nuovi occupanti “Via Asti Est”, va a rompere i piani e le narrazioni prodotte dalla precedente “occupazione” (aprile 2015) da parte di alcuni membri dell’associazione “Terra del fuoco”, che pochi mesi prima aveva ricevuto anche l’avallo del sindaco Fassino e del consiglio comunale. Le loro attività si concentravano fino a quel momento nel lato Ovest della caserma.   Dopo tanti mesi vissuti con la paura di non avere più un posto dove dormire, dopo anni di false promesse di «emersione» dalla baraccopoli, tante delle persone “riallocate” in una casa, come quella in corso Vigevano – gestita da AIZO – sono già finite in strada; ad altre sono stati promessi 300 euro per tornare «volontariamente» in Romania dove una casa non ce l’hanno più. E chi non poteva o voleva accettare queste «alternative» è stato considerato non «compatibile», cioè da buttare in strada. La decisione è di occupare un pezzo della ex caserma di via Asti, che l’associazione “Terra del Fuoco”, una delle tante che hanno partecipato al progetto “La città Possibile” ha “occupato” in aprile promettendone un uso sociale. Da allora tanti abitanti della baraccopoli sono finiti in strada mentre la caserma restava in buona parte vuota: chi non ha soldi per gli affitti del comune, chi non ha più una baracca, chi non vuole tornare in Romania decide di riempirla.   “(..) alla fine del 2015, pochi giorni prima della fine del progetto La Città Possibile, 26 famiglie rom, supportate da alcuni anarchici e antirazzisti, sono entrate nell’ex base militare “La Marmora” in via Asti, situata in un quartiere vicino al centro della città, ed hanno occupato alcuni edifici vuoti con l’intenzione di renderli la loro casa. Alcune di queste famiglie erano state escluse da La Città Possibile (e quindi sarebbero state sgomberate dalla baraccopoli senza alternative), altre eranp temporaneamente riallocate in alcuni appartamenti in corso Vigevano e in via Traves, ma … ora che il progetto era quasi “finito” – non potevano permettersi l’affitto completo. Tuttavia, queste famiglie non erano le uniche e le prime occupanti del luogo abbandonato: in effetti, la struttura era già stata occupata, 6 mesi prima, da una ONG locale che rivendicava gli spazi per eventi sociali e culturali. E non era solo una ONG, era “Terra del Fuoco”, una delle organizzazioni coinvolte nell’attuazione di “La Città Possibile” (…). Questa notizia ha ricevuto grande attenzione nei media locali (Rocci 2015; Caracciolo 2015), dando così visibilità alle famiglie e anche l’opportunità di parlare pubblicamente delle loro ragioni e richieste. La Municipalità e le ONG coinvolte nelLa distruzione della baraccopoli sono state così costrette ad ascoltare le loro voci e il loro messaggio, che era fortemente critico nei loro confronti. Tra i molti edifici vuoti della città, quel gruppo di ex abitanti dei quartieri poveri ha scelto di entrare nell’unico posto dove potevano affrontare gli educatori considerati responsabili del loro sfratto. Questa azione e le seguenti comunicazioni erano forme visibili di azione politica da parte di persone solitamente invisibili.” (C. Vergnano)   “L’obiettivo del progetto [La Città Possibile, ndr] non sembra inviso a nessuno: tutti d’accordo nel voler spostare le famiglie in “case vere” al posto delle baracche pericolanti lungo la Stura (che sono, sia ben chiaro, una ghettizzazione imposta e non una scelta di libero arbitrio da parte dei soggetti coinvolti). Esiste purtroppo un “però”: l’applicazione concreta di tale “percorso” (…) ha portato alcune famiglie direttamente in mezzo ad una strada, privi di documenti risorse cibo e casa. Che fare? Nulla di più semplice: Terra del Fuoco è uno dei soggetti protagonisti di “La città Possibile”, gran parte degli esponenti di Terra del Fuoco sta occupando Via Asti da sei mesi, in Via Asti c’è uno spazio dedicato al “disagio abitativo” (le parole-chiave di cui sopra), queste famiglie stanno chiaramente vivendo un disagio abitativo. La conclusione sillogica è molto semplice: domenica pomeriggio una quarantina di persone di tutte le età, “gli ex abitanti di Lungo Stura Lazio”, arrivano sotto uno splendido sole ai piedi della ricca collina sabauda e decidono di andare a dormire all’interno della Caserma Lamarmora. Non vorrei sembrare insistente, ma la domanda ritorna come un refrain nella mia testa: ma come ho fatto a non pensarci prima? Così, gli amici del “Comitato Via Asti Occupata” si trovano ad “essere occupati” da nuove realtà.” (Sistema Torino)   La decisione di “occupare l’occupazione” di Terra del Fuoco da parte di singoli e famiglie di Lungo Stura Lazio, rimasti senza casa e senza alcuna alternativa abitativa dopo gli ultimi violenti sgomberi del campo, è peraltro quanto mai coerente con le intenzioni dei primi occupanti della ex-caserma, che fanno parte della cordata di cooperative e associazioni del progetto “La città possibile”. Curiosamente nell’aprile del 2015 alcuni appartenenti a “Terra del Fuoco” erano entrati nella caserma di Via Asti per occuparla e nel maggio 2015 il comitato di gestione della nuova occupazione e i leader di “Terra del Fuoco” avevano incontrato a Palazzo Civico il sindaco Fassino e l’assessore Passoni. Questa la dichiarazione uscita dall’incontro: “Il comitato ha illustrato al Sindaco le finalità di ordine sociale che intende promuovere all’interno dell’edificio, ponendo l’esigenza che il luogo mantenga un valore fortemente legato alla memoria di ciò che ha rappresentato e al tempo stesso sia destinato e usi legati al disagio abitativo e sociale.” fonte: http://www.comune.torino.it/ucstampa/2015/article_333.shtml Poco tempo dopo il Comune assume direttamente  il ruolo di mediatore tra “Terra del Fuoco” e la Cassa Depositi e Prestiti, proprietaria dell’edificio, avviando una  trattativa segreta affinché la struttura resti a “Terra del Fuoco” come “rifugio degli sfrattati della città”. (da La Repubblica del 26 luglio 2015). https://torino.repubblica.it/cronaca/2015/07/26/news/via_asti_non_si_sgombra_c_e_l_accordo_sulla_caserma-119827381/ Ricordiamo che la Caserma La Marmora, dopo l’8 settembre 1943, divenne la sede dell’Ufficio Politico Investigativo della Guardia Nazionale Repubblicana e fino al 1945 fu utilizzata come centro di detenzione, tortura ed esecuzioni extragiudiziali contro centinaia di partigiane, partigiani e antifascisti. Fonte: http://www.istoreto.it/torino38-45/caserma.htm

2 novembre 2015

Occupanti “abusivi” e occupanti “morali”: incontro tra le famiglie di Via Ast Est e Terra del Fuoco e altre associazioni di Via Asti Ovest

“Alle 19:30 i rappresentanti del comitato degli occupanti originari escono dalla loro riunione per comunicare alle famiglie presenti il loro responso .”Siamo solidali con la vostra lotta, e capiamo il vostro disagio….però c’è un problema”. Vi avevo avvisato qualche riga più su: c’è sempre un però. Infatti, cito quasi testualmente, la soluzione abitativa nella palazzina occupata non è percorribile perché mancano acqua luce e corrente elettrica (“esattamente come nel campo nomadi dove abitavamo prima!”, rispondono in molti). Proprio a causa di queste mancanze, argomentano, nessuno è stato ospitato in questi primi sei mesi di permanenza qua dentro: vi sono problemi tecnici non risolvibili, per cui nada. E nel frattempo? “Noi stiamo qua, non andiamo da nessuna parte.” risponde perentoria una madre di famiglia, applaudita da un pubblico partecipe (anzi “partecipato” come direbbero molti presenti) . Non sono però d’accordo i ragazzi del comitato, perché tutto ciò non fa parte del “percorso” che avevano deciso mesi orsono; la discussione (il confronto è fermo ma molto pacato e di ampia disponibilità, il fair play va riconosciuto a tutti i soggetti presenti) sembra avviarsi verso una fase di stallo. “Noi non siamo proprietari di questo spazio e non siamo noi a decidere chi sta qua dentro; siamo disponibili ad aiutare ma non siamo i proprietari della caserma” viene ripetuto quasi come forma di auto-convincimento inconscia. Dopo alcune schermaglie sull’ opportunità di affidare (simbolicamente ma anche concretamente) le chiavi del complesso anche ai nuovi occupanti, si giunge all’ intervento provocatorio (nel senso più positivo del termine) del Prof. Ugo Mattei che ha spinto tutti i presenti a buttare il cuore oltre l’ostacolo e tentare una esperienza nuova di condivisione degli spazi e di aiuto reciproco secondo il modello del bene comune di cui il docente torinese è autorevole ed affermato esponente. Dopo altri svariati interventi, la conclusione è ancora affidata alla voce dell’esponente di Terra del Fuoco, che richiede 48-72 ore di tempo per permettere al Comitato Via Asti di decidere sul da farsi, compresa una eventualità (per carità, assolutamente legittima) di fare un passo indietro e sfilarsi dalla gestione della caserma. E’ fin troppo facile immaginare le conseguenze di un tale atto: quanto durerebbe una occupazione di un edificio del pre-collina da parte di famiglie rom (a questa latitudine forse sono già chiamati zingari) prive di un sostegno laterale di associazioni molto più vicine all’ Amministrazione cittadina? Poche ore, al massimo qualche giorno, come accade alle altre simili esperienze cittadine di occupazione di case e spazi abbandonati.” (Sistema Torino)

L‘occupazione è iniziata con un incontro tra i due gruppi di occupanti (il gruppo Rom e il gruppo Terra del Fuoco), finalizzato a trovare una soluzione comune nonostante i loro diversi obiettivi e bisogni. Le famiglie rom si sono lamentate della distruzione delle loro baracche e degli imminenti sfratti dagli edifici in cui erano stati alloggiati. Hanno sottolineato che, anche se le loro baracche erano precarie e non sicure, queste erano le uniche case che avevano e le hanno perse per non essere state selezionate come beneficiarie “meritevoli” o, se selezionate, per non essere in grado di pagare l’affitto senza poter avere lavori in regola. Le case alternative promesse e il progetto di inclusione professata erano, in effetti, più precari delle loro vecchie baracche. Come ha scritto Marianna in uno dei suoi appunti: quando chiedo a George se conoscono gli altri occupanti, lui sorride e risponde “conosci Rossella? E sai dove abita? ” Rispondo che conosco Rossella, che è un’assistente sociale per il progetto La Città Possibile e vive a Torino. George diventa serio e dice: “Vive qui, dall’altra parte del cortile. Avrebbe dovuto trovare una casa per noi, ma non l’ha fatto e ora non vuole che restiamo qui. Dicono che dobbiamo andarcene perché non c’è acqua ed elettricità qui, ma abbiamo vissuto per anni sulla riva del fiume ”(5.11.2015). In effetti, questo era lo squat di uno squat, un’affermazione politica che ha preso il posto di un’affermazione precedente, un’affermazione di un gruppo di “occupanti abusivi” all’interno e contro quello di un gruppo di “occupanti morali” (Piemontese 2016). In effetti, i Rom sono stati fortemente critici nei confronti degli educatori: hanno rivendicato il loro diritto a una casa e hanno contestato La Città Possibile, come hanno scritto in una lettera aperta indirizzata al vicinato. Da parte loro, gli occupanti “morali” della ONG apparivano imbarazzati e a disagio con i loro nuovi vicini Rom. “Non siamo i proprietari di questo edificio– hanno dichiarato durante l’incontro– e non siamo noi a decidere chi ha il diritto di rimanere qui; possiamo aiutarvi, ma non siamo i proprietari ”. “Eccoci, non abbiamo un altro posto dove andare”, ha risposto una donna rom. (Tessarin 2015)”

C. Vergnano, M. Manca, “When Housing Policies Are Ethnically Targeted: Struggles, https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-030-11373-5_6

Conflicts and Contentions for a “Possible City”

Link

  1. Tessarin, Occupiamo l’occupazione: i rom “sbarcano” in via Asti

http://bit.ly/2AuxKgD

1-12 novembre 2015

Gli occupanti di Via Asti Est, rinominata “Avion”, si presentano al quartiere e iniziano a organizzare la vita quotidiana tra lavori, assemblee, cene solidali

Di seguito uno stralcio della lettera del 3 novembre 2015 dei nuovi occupanti di Via Asti Est al quartiere:

Buongiorno,

siamo un gruppo di persone che fino a pochi giorni fa abitavano nella baraccopoli di Lungo Stura ed ora abitiamo in via Asti, perciò saremo i vostri nuovi vicini. Abbiamo occupato un piccolo pezzo della ex caserma “La Marmora”, che in aprile è stata occupata – promettendone un uso sociale – dall’associazione “Terra del Fuoco”, una delle tante che ha partecipato al progetto “La città possibile” del Comune di Torino, con cui sono stati spesi 5 milioni di euro per sgomberare il campo di Lungo Stura. Da allora tanti di noi sono finiti in strada, mentre la caserma restava in buona parte vuota.
Da oggi è abitata anche da donne, uomini e bambini che il Comune e le associazioni hanno sgomberato e sfrattato senza offrire nessuna alternativa abitativa. Abbiamo scelto questa casa perché ci sembra giusto avere un posto adeguato nella casa di chi questi anni ha guadagnato milioni di euro promettendocene una! […]

 

Nel frattempo la vita quotidiana prende forma in Via Asti Est. Dalla mattina presto si iniziano lavori per sistemare muri e finestre, gli impianti dei bagni, le persone sgomberate pian piano sistemano le loro stanze tra materassi, coperte, sedie, tavoli, stufe a gas, mentre nel cortile si gioca a pallone e qualcuno sistema la propria bicicletta. La sera si cena tutti insieme e si pensa alle iniziative da portare avanti negli spazi della casa: dal cineforum alla ciclofficina, le idee non mancano. Ogni giorno si tiene un’assemblea di autogestione. Il sabato sera si organizza una cena benefit con festa molto partecipata.

Durante il loro soggiorno, le famiglie hanno lavorato duramente per rendere gli spazi confortevoli con mobili e oggetti domestici, anche per bambini e anziani. Lo hanno aperto a tutte le persone esterne incuriosite dalla loro situazione e solidali con la loro lotta”. (C. Vergnano, M. Manca, “When Housing Policies Are Ethnically Targeted: Struggles, https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-030-11373-5_6Conflicts and Contentions for a “Possible City”)

10 novembre 2015

Pubblicazione e diffusione dell’ “Appello per sostenere l’occupazione di via Asti Est”

Alcuni passaggi dall’appello pubblico: “In una domenica di Novembre un gruppo uomini, donne e bambini è entrato nel cortile dell’ex caserma “La Marmora” in via Asti ed ha occupato una palazzina vuota. L’ha occupata perché il posto dove abitavano non c’è più. Erano baracche lungo il fiume, in un posto senza acqua né luce, tanta immondizia e topi. Non un bel posto, ma l’unico che potessero permettersi. […] Se vi alzate quando è ancora buio, vedrete le persone che abitavano quelle baracche cercare nei cassonetti qualcosa da vendere il sabato al Balon, la domenica nel mercato vicino alle ex Poste. Altri raccolgono metalli: sono l’ultimo anello di una catena di riciclo dove gli ultimi lavorano molto per il profitto di pochi. Qualche donna fa la badante nelle case. […]  Ancora oggi ben pochi sanno che rom e sinti facevano parte del programma di sterminio nazista, perché considerati “naturalmente” devianti. Cinquecentomila rom e sinti finirono la loro vita nelle camere a gas. In Romania almeno venticinquemila furono deportati durante il regime di Antonescu. La violenza nei loro confronti non hai è mai stata oggetto di una rielaborazione culturale collettiva. Le persone che oggi vivono in via Asti sono immigrate dalla Romania. Lì vivevano in case, non sono “nomadi”, ma con il passaggio ad un’economia di mercato selvaggia dopo il 1989 ed a causa della proliferazione di rigurgiti razzisti mai sopiti, sono stati/e le prime a perdere il lavoro e la possibilità di sopravvivere in una società sempre più marcata da disuguaglianze. In Italia, però, non hanno trovato un futuro migliore, ma solo “campi”, sfruttamento e razzismo”.      

12 novembre 2015

Sgombero dell’occupazione di Via Asti

All’alba del 12 novembre 2015 la questura di Torino sgombera ancora una volta, con un enorme dispiegamento di mezzi e di agenti, le circa 90 persone rom e non rom, che questa volta si trovano all’interno della ex-caserma di via Asti e che prima vivevano in Lungo Stura Lazio. L’operazione repressiva è chiaramente dettata da una logica di razzismo istituzionale. In un luogo sulla carta occupato da sette mesi, lo sgombero scatta non appena arrivano i rom. Solo con l’arrivo degli indecorosi “zingari” dal campo di Lungo Stura, infatti, la caserma di Via Asti, occupata sei mesi prima dai giovani di Terra del Fuoco, diviene immediatamente un problema di ordine pubblico. Nei giorni precedenti allo sgombero gli e le occupanti di via Asti Est vengono costantemente cacciati fuori da bar, supermercati e negozi della zona in quanto “rom”e non mancano gli insulti da parte di alcuni abitanti del quartiere. Nei giorni precedenti allo sgombero alcuni residenti della zona entrano nell’occupazione per lanciare ingiurie contro i “rom” presenti nella caserma: tollerare la presenza di questi “zingari” provocherà di certo una terribile svalutazione del valore dei loro prestigiosi immobili e appartamenti siti nella precollina torinese. Altri residenti minacciano di attivare i propri legali per far causa al Comune di Torino per eventuali danni rispetto alla rendita di immobili di loro proprietà. Ecco che Comune e Questura in pochissimi giorni organizzano uno sgombero in grande stile, buttando ancora una volta per strada gli ex abitanti di Lungo Stura Lazio. A questo punto sono costretti anche a far uscire dalla struttura anche i soci di “Terra del Fuoco”, fino a poco tempo prima lodati da partiti di sinistra, associazioni varie e dal consiglio comunale. La solita proposta istituzionale di una palestra temporanea per donne e bambinx in un luogo non precisato viene rifiutata, nessuno vuole essere diviso per l’ennesima volta. Due ragazzi vengono portati in questura “per identificazione”. Quando tuttx sono sgomberati dalla caserma, un corteo spontaneo si muove da via Asti per attraversare le strade del centro e urlare la propria rabbia per la guerra di classe e di colore portata avanti contro i poveri della città. “Tutte le persone esterne sono curiose della loro situazione e supportano la loro richiesta. Lo spazio comune della struttura, un ampio cortile centrale, era fisicamente separato tra i due gruppi di occupanti e utilizzato per diverse attività durante il giorno e la sera. I Rom speravano che la presenza degli “occupanti morali” li avrebbe protetti dallo sfratto. Ma questa aspettativa è stata delusa: 2 settimane dopo il loro arrivo, le famiglie rom sono state sfrattate con la forza insieme agli occupanti delle ONG da un ampio dispiegamento di polizia (Manca 2015). Hanno avuto pochissimo tempo per raccogliere i loro oggetti e lasciare l’edificio, e hanno deciso di organizzare una manifestazione nel centro della città per esprimere la loro delusione e la loro paura per il futuro. Nelle settimane successive i rom hanno ricevuto solidarietà e attenzione da diverse parti della società civile, ma nulla è cambiato nelle politiche amministrative. Alla fine del progetto “La città possibile” nessuna soluzione è stata fornita per la maggior parte di quelle famiglie che vivono ancora nella baraccopoli, le cui baracche sono state semplicemente demolite senza fornire loro alloggi alternativi. (C. Vergnano, M. Manca, “When Housing Policies Are Ethnically Targeted: Struggles, https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-030-11373-5_6Conflicts and Contentions for a “Possible City”) A quasi 5 anni di distanza dall’arrivo nella ex-caserma La Marmora dei “temibili” rom e dalla loro cacciata quasi immediata, lo spazio continua ad essere lasciato vuoto e inutilizzato.

13 novembre 2015

Due ragazzi che facevano parte dell’occupazione di via Asti Est vengono portati al CIE in attesa di espulsione: scoppia la rivolta

Due ragazzi sgomberati dal campo di Lungo Stura Lazio e dal social housing de “La città Possibile” e che avevano partecipato all’occupazione di “Avion”, in via Asti, dopo essere stati identificati vengono portati direttamente al CIE (ora CPR) in corso Brunelleschi, per essere deportati in Romania.

Qualche giorno dopo viene organizzato un presidio sotto alle mura del CIE.  Alla notizia che sarebbero stati espulsi amici, parenti e solidali dei due ragazzi hanno gridato la loro rabbia e il loro amore. Dall’interno si sono sentite le urla di risposta dei reclusi.

In serata dentro al CIE scoppia la rivolta. Tre sezioni su cinque sono in fiamme. I prigionieri ancora una volta si ribellano.

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17 novembre 2015

I due ragazzi rinchiusi nel CIE vengono deportati in Romania

I due ragazzi vengono deportati in Romania. Fermati durante lo sgombero, di “Avion”, erano stati portati al CIE, dove finiscono anche i cittadini europei, soprattutto se di serie zeta: per loro non c’è libertà di circolazione, sono “indesiderabili”. Nel CIE sono rimasti diversi giorni dopo la convalida dell’espulsione fatta dal giudice. Secondo la normativa, avrebbero dovuto essere subito estradati in Romania o liberati, ma il giudice ha dichiarato che dovessero essere rinchiusi per un tempo “ragionevole”.

21 novembre 2015

Occupazione della sede ASL vuota da anni di via Borgoticino da parte di alcune famiglie sgomberate da Lungo Stura Lazio e da via Asti

Alcuni singoli e famiglie sgomberate dalla ex-caserma di via Asti occupano una sede dismessa dell’ASL in Via Borgoticino 7, in Barriera di Milano, zona nord della città.

Le persone che oggi hanno occupato una sede abbandonata dell’ASL hanno vissuto in Lungo Stura Lazio per necessità, e non perché “nomadi”. Dopo l’ultimo sgombero subìto nelle scorse settimane sulla riva del fiume, loro avevano deciso di occupare uno spazio abitativo all’interno della caserma La Marmora, in via Asti. L’associazione che gestiva la caserma si chiama Terra del Fuoco, insieme alla quale altre associazioni e cooperative si sono spartite più di cinque milioni di euro – soldi pubblici spesi con il progetto La Città Possibile – promettendo una casa e soldi agli abitanti del campo; mentre il comune ordinava alle ruspe di demolire le loro baracche lasciando centinaia di persone senza nessuna alternativa abitativa!

Dopo un paio di settimane li hanno sgomberati anche dall’occupazione di via Asti, dicendo che era un’occupazione illegale. Invece sei mesi prima sono stati in tanti, tra politici e magistrati, a dire che l’occupazione dello stesso posto, da parte di Terra del Fuoco, era giusta perché “ristabiliva la pubblica utilità”.

Oggi queste persone, ex abitanti di Lungo Stura e via Asti, hanno deciso di continuare la lotta per la dignità, per una casa. Davanti alla prospettiva di dormire in strada nei giorni più freddi della stagione, hanno deciso di occupare questo spazio vuoto. Per necessità”. (Dal comunicato di abitanti e solidali).

10 dicembre 2015

Sgombero forzato della “Fossa” (nella baraccopoli di Lungo Stura Lazio)
Le ultime famiglie ancora resistenti al razzismo delle istituzioni torinesi vengono buttate per strada: si tratta della fossa dei “colorati”, nella baraccopoli di Lungo Stura Lazio. In pieno inverno. La maggior parte delle persone senza alcuna alternativa abitativa e arbitrariamente escluse dal progetto “La città possibile” cerca rifugio e sistemazione negli altri campi di Torino nord e nel resto della città. L’insediamento “non autorizzato” di via Germagnano raddoppia la sua popolazione nel corso del 2015, mentre il Comune si fa vanto di aver “svuotato” quello di Lungo Stura Lazio. Nel corso degli ultimi anni (2016 – 2019) altri insediamenti “autorizzati”, “non autorizzarti” e “semiautorizzati” – come quello di corso Tazzoli, dei terreni adiacenti al ponte di corso Vercelli, di alcuni settori di via Germagnano – saranno nuovamente oggetto di sgomberi coatti, senza preavviso, senza alcuna notifica e senza alternative abitative. Il Comune con l’appoggio della forza pubblica continua a provocare il nomadismo forzato di centinaia di persone sul territorio torinese, stritolando in questo ingranaggio di violenza e razzismo istituzionale non solo le persone adulte ma anche i minori che spesso cercano di frequentare regolarmente le scuole vicine alle baraccopoli. In modo sempre più evidente la popolazione più povera e precaria della città, rom e non rom, che non può accedere al mercato privato degli affitti, viene sgomberata sistematicamente, costretta a spostarsi continuamente in cerca di una nuova e precaria sistemazione, in attesa di un nuovo sgombero.

11 dicembre 2015

Sgombero dell’occupazione di via Borgo Ticino 7

Sgombero dell’occupazione di via Borgo Ticino a Torino 7.

Tutti gli occupanti vengono fotografati dalle forze dell’ordine. Un occupante viene nuovamente portato al Cie di corso Brunelleschi.

12 dicembre 2015

Un ragazzo occupante viene deportato in Romania

Un ragazzo identificato in via Borgo Ticino 7 viene deportato in Romania, dopo essere stato rinchiuso nel Cie, e riceve un ordine di allontanamento dall’Italia per 10 anni.

La sua storia, come molte altre, si lega al mega sgombero della baraccopoli di Lungo Stura Lazio ed all’attuazione del progetto-truffa denominato “La città possibile”, voluto da Comune di Torino e dalla Prefettura, così come si lega all’occupazione ed al successivo sgombero della ex-caserma di Via Asti nel momento in cui la distruzione delle baracche volgeva al termine, ed agli sgomberi più recente sia degli spazi di Via Borgo Ticino, che della cd. “Fossa” lungo lo Stura, avvenuti giovedì scorso.” (fonte Radio Blackout)

2016 – 2017

Continuano le indagini e gli scandali che si porta dietro il progetto, ora concluso, de “La città possibile”. L’accusa nei confronti di associazioni e cooperative è di truffa aggravata

Nei primi mesi del 2016 il Comune di Torino recinta con chilometri di jersey di cemento e griglie d’acciaio l’area sgomberata di Lungo Stura Lazio per evitare nuove occupazioni. Intanto tonnellate di macerie delle baracche distrutte dagli sgomberi del Comune vengono inglobate dalla  vegetazione.

 

Il 4 febbraio 2016 la Guardia di Finanza perquisisce le sedi di diverse associazioni e cooperative della cordata promotrice del progetto “La Città Possibile”, all’interno di un’inchiesta su presunte irregolarità che porta al sequestro di 400.000 euro: il reato inizialmente ipotizzato era turbativa d’asta per aver riallocato le famiglie tramite il progetto all’interno di immobili sprovvisti dei requisiti di abitabilità e nei quali sono stati accertati numerosi reati di abuso edilizio. L’inchiesta si chiude nel dicembre 2017 con la sola accusa di “truffa aggravata” nei confronti di esponenti di “Valdocco” e “Terra del Fuoco”.

2015 – 2017

Centinaia di persone sgomberate da Lungo Stura si spostano nella baraccopoli di via Germagnano, che viene posta sotto sequestro e sgombero

Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 l’insediamento “informale” di via Germagnano raddoppia la sua popolazione a causa dello sfollamento di centinaia di persone escluse dal progetto “La città possibile”, che trovano riparo in un’altra baraccopoli. Va ricordato che in via Germagnano sono da anni presenti diversi “campi” oltre a quello “autorizzato” dal 2004 al n. 10.   Dalla fine del 2016 i campi “non autorizzati” di via Germagnano finiscono sotto sgombero. L’ordinanza di sequestro preventivo e sgombero del campo viene firmata in seguito a rilievi dell’Arpa, secondo cui i livelli di inquinamento del terreno da zinco, stagno e piombo sarebbero stati eccessivi tanto da ipotizzare il disastro ambientale in una zona da decenni utilizzata come discarica abusiva dagli anni ’70   “Gli abitanti di Via Germagnano dunque non sono formalmente accusati di essere la causa degli alti livelli di inquinamento, ma è piuttosto l’area stessa ad essere identificata come luogo su cui è necessario inter-venire al più presto.   Quella zona – racconta Secondo Massano, presidente dell’associazione Opera Nomadi – è sempre stata usata come discarica a cielo aperto fin dagli anni Settanta”. A inizio anni Novanta la Giunta Castellani la scelse per la costruzione di un campo Rom, senza dare seguito alle richieste di analisi presentate dall’opposizione. «In quei terreni erano stati sep-pelliti illegalmente rifiuti tossici industriali. Era già una piccola terra dei fuochi quando vennero approvate le delibere» dice Marco Revelli, al tempo consigliere comunale. I carotaggi non vennero mai eseguiti, e nel 2004 l’amministrazione Chiamparino inaugurò le trentadue casette che ospitarono le famiglie bosniache sgomberate dal campo di strada dell’Arrivore”.   Fonte: https://webthesis.biblio.polito.it/11935/1/tesi.pdf “Fuori dai margini. L’abitare formale ed informale nell’area di Via Germagnano a Torino”, Matilde Cembalaio, settembre 2019, pagina 50   Da osservare che in alcuni casi i livelli di PM10 in via Germagnano riportati dalle campagne di rlevamento sono più bassi rispetto alle rilevazioni effettuate nello stesso momento in altri punti della città, molto vicini alla zona Amiat. Quando, in altri casi, i livelli risultano più alti nelle relazioni ARPA viene espresso chiaramente che le fonti di innalzamento non possono essere riconducibili agli abitanti delle baraccopoli e agli abbruciamenti (roghi), come denunciato da comitati e cittadini della zona, ma ad una   “condizione micrometeorologica parti-colarmente critica e/o nella presenza di una fonte locale – attiva in periodo invernale ma non in quello estivo – diversa dagli abbruciamenti. Nel primo caso un effetto ipotizzabile è legato all’orografia del sito di misura, che si trova in una conca e quindi può dar luogo – nelle condizioni di stabilità atmosferica tipiche dei mesi freddi – a un effetto di ulteriore accumulo di inquinanti al suolo che non è evidenziabile nei mesi estivi a causa della elevata dinamicità atmosferica. Nel secondo caso – anche considerando che la temperatura media del periodo è stata relativamente bassa – potrebbe trattarsi di impianti per la produzione di calore alimentati a combustibili liquidi o solidi i quali, per loro natura, produco-no emissioni significative di particolato primario”.   Fonte: “Fuori dai margini. L’abitare formale ed informale nell’area di Via Germagnano a Torino”, Politecnico di Torino, corso di laurea specialistica Architettura Costruzione e città, Candidata Matilde Cembalaio Relatrice Cristina Bianchetti, settembre 2019, pagina 50 https://webthesis.biblio.polito.it/11935/1/tesi.pdf   Nel 2016 si procede in ogni caso con il sequestro dell’area. Gli abitanti delle baraccopoli diventano così il capro espiatorio a cui far pagare l’avvelenamento del terreno, nonostante a due passi ci sia una discarica e la situazione sia stabile da più di 20 anni. Per un maggior approfondimento rimandiamo alla tesi   “Fuori dai margini. L’abitare formale ed informale nell’area di Via Germagnano a Torino”, Matilde Cembalaio, settembre 2019 https://webthesis.biblio.polito.it/11935/1/tesi.pdf   e alla pagina delle campgne di rilevamento dell’Arpa http://www.comune.torino.it/ambiente/aria/monitoraggio-aria-in-via-germagnano.shtml   Nel quotidiano sono ordinari controlli a tappeto, identificazioni, fotografie dei veicoli, fogli di via, baracche sequestrate dai vigili.   Nel 2017 l’avvocato Gianluca Vitale ha fatto ricorso presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per chiedere che venga sospesa l’ordinanza di sequestro dell’area di Via Germagnano e che vengano identificate soluzioni abitative alternative. Nel ricorso viene sottolineato come non sia stata fornita agli abitanti del campo nessuna alternativa abitativa e che la continua minaccia di sgombero abbia di fatto bloccato tutte le normali attività quotidiane. In particolare i genitori per alcune settimane non hanno più portato i figli a scuola temendo che una volta rientrati al campo avrebbero trovato le proprie abitazioni distrutte.

Maggio 2017

United Nations, Human Rights Committee – Pubblicazione delle “Osservazioni conclusive sul sesto rapporto periodico dell’Italia” (CCPR/C/ITA/CO/6)

Nelle pagine 3 e 4 del documento vi sono diverse osservazioni e raccomandazioni che descrivono la situazione di forte discriminazione sociale e segregazione abitativa in cui continuano a vivere le comunità Rom, Sinti e Caminanti in tutta Italia, oltre ad altre osservazioni sul linguaggio di odio e forme di discriminazione razziale contro le stesse comunità. In particolare il Comitato delle Nazioni unite stigmatizza il perdurare delle politiche razziste del governo italiano e di molti comuni che continuano a creare campi mono-etnici, perpetrando la segregazione razziale contro rom, sinti e caminanti.

La Commissione inoltre fa riferimento al decreto Emergenza nomadi in vigore dal 2008 al 2011, voluto dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni e successivamente dichiarato illegittimo dalla Corte di Cassazione. Viene inoltre chiesto di cessare immediatamente la pratica degli sgomberi e provvedere a risarcire le persone che a causa di quel decreto hanno subito discriminazioni e violazioni dei diritti umani.  (vedere link al documento integrale)

United Nations, « International Covenant on Civil and Political Rights », Distr.: General, 1 May 2017, Human Rights Committee : « Concluding observations on the sixth periodic report of Italy ». Documento integrale : http://docstore.ohchr.org/SelfServices/FilesHandler.ashx?enc=6QkG1d%2FPPRiCAqhKb7yhskwLPXK6lx3yNpCdqzah05gNGxS0RGWgUA0TG13aUZvgywezVW6PrWVBLLO%2FsHOjpo5uVXclK4tPQZbM3iJWI5Lhlvrxz5Tkpit5omH%2FKmkh Un estratto del documento « Concluding observations on the sixth periodic report of Italy »: […] Hate speech and racial discrimination 12. The Committee is concerned about reports of persistent stigmatization, stereotyping, and racist discourse against Roma, Sinti and Camminanti communities and non-citizens, exacerbated by the media and public officials at the local level. It is also concerned that the aggravating circumstances in Law no. 205/1993 (Mancino’s Law) on hate crimes are applied only when a racist motive appears to be a sole motivation but not when there are mixed motives (arts.2 and 26). 13. The State party should: (a) strengthen its efforts to eradicate stigmatization, stereotyping and racist discourse against Roma, Sinti and Camminanti communities and non-citizens, including by conducting public awareness campaigns to promote tolerance and respect for diversity; (b) review Law no. 205/1993 with a view to giving effect to aggravating circumstances to all hate crimes; (c) and ensure that all cases of racially motivated violence are systematically investigated, that perpetrators are prosecuted and punished and that appropriate compensation is awarded to the victims. […]

2018 – 2019

Sgomberi continui

Il Comune sgombera numerose baraccopoli in città, tra queste Corso Tazzoli, “tollerata” da almeno 13 anni, mentre inizia lo sgombero “a rate” di via Germagnano “non autorizzata”

Il 5 giugno 2018 viene sgomberato dopo 13 anni il campo di Corso Tazzoli. È importante evidenziare che, rispetto alla situazione di Corso Tazzoli,  il Comitato di Inidirizzo nel 2013 aveva deliberato quanto segue: “Un’evoluzione, nel senso di trasformazione in area destinata a permanenze brevi, ovvero un luogo di passaggio verso nuove collocazioni di reale integrazione nel quadro di una progettualità definita per quelle famiglie più predisposte, secondo un meccanismo di avvicendamento delle presenze, potrebbe prevedersi anche per il sito di Corso Tazzoli, indicando ad ogni modo quale condizione fondamentale la necessaria dotazione, in prossimità del sito, di servizi minimi (predisposizione di illuminazione pubblica dell’Area – anche ai fini di una maggiore sicurezza -, allestimento di servizi igienici pubblici, attivazione di alcune fontane), con relativa messa in sicurezza, consentendo anche in questo caso eventuali iniziative in auto-costruzione.” Pagina 6 della Delibera del 23 aprile 2013, http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_01849.pdf Il campo di Corso Tazzoli, “tollerato” come quello di Lungo Stura Lazio per almeno 13 anni, viene sgomberato all’improvviso in seguito ad un piccolo incendio che si era sviluppato all’interno del campo il giorno prima e che era stato subito domato. Un incidente non grave che diventa il pretesto perfetto per dare il via al primo sgombero della neo eletta  sindaca Appendino e della nuova giunta comunale questa volta a targa 5 stelle. Il Comune aveva investito negli anni precedenti una parte dei fondi ministeriali nell’ambito del progetto “La città possibile” per “la messa in sicurezza” dell’area, fornendo  al campo di Corso Tazzoli alcuni bagni e i bidoni per la raccolta differenziata dei rifiuti oltre ad alcuni punti di accesso per l’acqua potabile. […] predisposizione di illuminazione pubblica dell’Area – anche ai fini di una maggiore sicurezza -, allestimento di servizi igienici pubblici, attivazione di alcune fontane), con relativa messa in sicurezza, consentendo anche in questo caso eventuali iniziative in auto-costruzione […] http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_01849.pdf Per le istituzioni comunali con lo sgombero dettato da urgenti motivi di “sicurezza” si risolve anche il problema  di sapere che in quel campo, così come in altri insediamenti presenti in città, esistano casi di apolidia causati da decenni di nomadismo forzato. […] Nello specifico, le suddette criticità riguardano sia l’area sosta autorizzata di Strada dell’Aeroporto, per la quale la Città nel recente passato ha effettuato uno studio di fattibilità di interventi strutturali, sia gli insediamenti presenti nelle aree di Lungo Stura Lazio e via Germagnano (nella periferia nord) e di corso Tazzoli (nella periferia sud), questi ultimi anche in relazione alla eterogeneità dei gruppi coinvolti, alcuni dei quali in condizione di apolidia. […] Fonte: http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_03926.pdf La distruzione del campo di corso Tazzoli coinvolge anche le dotazioni che erano state acquistate con i fondi del Ministero dell’Interno nell’ambito del progetto “La città possibile”.  L’unica alternativa abitativa per le quasi 200 persone sgomberate nel giro di due giorni è stata una TENDOPOLI allestita dal Comune di Torino: l’offerta temporanea ha avuto validità dal  5  all’11  giugno  2018. Molti minori frequentavano regolarmente le scuole di quartiere ma sono costretti a interrompere la frequenza di fronte all’ennesima operazione di sgombero che provoca nuovamente nomadismo forzato. Il 25 luglio 2018 viene sgomberato un piccolo insediamento vicino al ponte di corso Vercelli sullo Stura (periferia nord di Torino) senza alcun preavviso né notifica scritta. Gli abitanti presenti in quel momento vengono tutti identificati e denunciati dalla polizia. Tra questi vi sono molti minori. Le fonti di polizia e del Comune dichiarano circa 30 persone presenti al momento dello sgombero, ma i residenti all’interno dell’insiediamento erano circa 40. Il 21 novembre 2018 viene svuotata e distrutta una parte dell’insediamento informale di Via Germagnano dove vivono molti nuclei sgomberati nel 2015 dal campo di Lungo Stura Lazio. Ancora una volta l’operazione è usata a fini di propaganda politica e la sindaca di Torino Chiara Appendino decide di lanciare una diretta Facebook per trasmettere le ruspe in azione. https://torino.corriere.it/cronaca/18_novembre_21/abbattimento-baracche-diretta-critiche-post-salviniano-appendino-88f83b48-ed78-11e8-be2f-fc429bf04a05.shtml?refresh_ce-cp L’annuncio della diretta dell’abbattimento delle 28 baracche suscita numerose critiche e subito dopo l’ufficio comunicazione della sindaca si affretta a rettificare che l’operazione spettacolare delle ruspe è avvenuta il giorno prima e in diretta sarà mandata solo la conferenza stampa con il comandante della polizia municipale Emiliano Bezzon. http://sistematorino.blogspot.com/2018/11/campo-rom-di-via-germagnano-operazione.html Anche questa ennesima operazione ha causato moltissima paura e tensione tra le persone che vivono attualmente in via Germagnano. Dopo questo abbattimento le persone rimaste in via Germagnano sono circa 500. Dopo il cambio di amministrazione con le ultime elezioni (2016, perde il PD e vince il partito 5 stelle) nel campo “non autorizzato” di via Germagnano non si presentano più funzionari del Comune: l’unica relazione con l’amministrazione avviene attraverso gli agenti della polizia municipale che consegnano fogli di via, pongono sotto sequestro le baracche da distruggere, coordinano l’azione delle ruspe. Chi, abitando nel campo, ha cercato di filmare o registrare cosa accade al suo interno negli ultimi due anni (così come è avvenuto durante lo sgombero di Lungo Stura Lazio) è stato minacciato di denuncia. Con il passare dei mesi diventa sempre più difficile documentare cosa accade nel campo di via Germagnano, come vengono trattate le persone che ci vivono e come vengono sequestrate le baracche “vuote” senza che a nessunx venga mai rilasciato un documento di sequestro, di sgombero o di sfratto. Il 27 febbraio 2019 viene sgomberato l’insediamento di via Reiss Romoli, vicino alla ferrovia, dove vivevano circa 60 persone, sempre con le stesse modalità militari, senza offrire alcuna alternativa abitativa. Sui giornali locali gli sgomberi forzati continuano ad essere narrati, in base alle dichiarazioni del Comune, come sgomberi “dolci”, come allontanamenti “senza tensioni”. E’ questa evidentemente l’interpretazione che dà il Comune – e cioé un unico tipo di intervento poliziesco e militare, senza alcuna alternativa abitatvia – del “superamento dei campi rom”, come richiesto dalle direttive UE entro la fine del 2020.
2018 – Sgomberi continui – Link: Sgombero dopo 13 anni del campo di Corso Tazzoli – Giugno 2018 http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_451.shtml http://www.comune.torino.it/cittagora/in-breve/in-romania-gli-ex-abitanti-del-campo-di-corso-tazzoli.html 23 aprile 2013 – DELIBERA “INIZIATIVE PROGETTUALI VOLTE AL SUPERAMENTO DELLE CRITICITÀ RELATIVE AGLI INSEDIAMENTI SPONTANEI E AUTORIZZATI DI COMUNITÀ ROM SUL TERRITORIO CITTADINO A VALERE SU FONDI MINISTERIALI.” http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_01849.pdf Delibera 4 dicembre 2013, “ATTUAZIONE CONVENZIONE PREFETTURA-CITTÀ DI TORINO. OPERE DI  MANUTENZIONE  STRAORDINARIA  FINALIZZATE  AL  SUPERAMENTO  DELLE  CRITICITÀ    NEI    CAMPI    NOMADI    (OPERA    4100    –    CUP    C16E13000010001).    APPROVAZIONE    PROGETTO    DEFINITIVO.    IMPORTO    EURO    600.804,00    IVA COMPRESA.” http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_06566.pdf Il fatto che dopo lo sgombero di Corso Tazzoli come unica alternativa abitativa sia stata offerta una “tendopoli atta all’accoglienza di 194 persone sgomberate” viene riportato anche nel report “I margini del margine – Comunità rom negli insediamenti formali e informali in Italia, Rapporto 2018”, Associazione 21 luglio: Nel Comune di Torino, a seguito dello sgombero forzato a giugno 2018 della baraccopoli informale rom sita presso Corso Tazzoli, è stata allestita una tendopoli atta all’accoglienza delle 194 persone sgomberate, pari a 52 nuclei familiari. Nei mesi successivi la tendopoli ha visto ridursi drasticamente il numero di famiglie ivi presenti sino ad arrivare a 4 nuclei familiari beneficiari dell’accoglienza. Il restante delle famiglie si sono disperse sul territorio rendendosi irreperibili. (p. 16) https://www.21luglio.org/2018/wp-content/uploads/2019/04/rapporto-annuale-2018.pdf Sgombero del ponte di Corso Vercelli  – Luglio 2018 https://www.lastampa.it/torino/2018/07/26/news/sotto-il-ponte-di-corso-vercelli-sgomberata-una-baraccopoli-1.34034226 Sgombero e distruzione di una parte di baracche di Via Germagnano “non autorizzato” il 21 novembre 2018 http://sistematorino.blogspot.com/2018/11/campo-rom-di-via-germagnano-operazione.html https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/11/21/news/torino_i_vigili_abbattono_le_baracche_abusive_del_campo_rom_di_via_germagnano-212209028/ https://www.lospiffero.com/ls_article.php?id=42791 http://www.nuovasocieta.it/campo-rom-di-via-germagnano-demolite-baracche-abusive-presto-nuovo-sgombero-allex-moi/   Altri sgomberi https://www.lettera43.it/rom-beinasco-campo-integrazione/ https://www.torinoggi.it/2019/02/27/sommario/settimo/leggi-notizia/argomenti/cronaca-11/articolo/via-reiss-romoli-al-via-lo-sgombero-dellaccampamento-abusivo-dei-nomadi.html

2017 – 2020

Progetto Speciale Campi Nomadi e nuovo Regolamento per le aree sosta attrezzate per Rom e Sinti

Tra il 2017 e il 2018 la giunta a guida Appendino (maggioranza 5 stelle) elabora e fa approvare un nuovo REGOLAMENTO DELLE AREE SOSTA ATTREZZATE PER ROM E SINTI, che a ben vedere non mira affatto a superare i campi rom, ma a normarli e gestirli sulla base di un impianto discriminatorio e segregazionista. Di fatto così le autorità cittadine moltiplicano gli insediamenti precari e causano per l’ennesima volta il nomadismo forzato di centinaia di persone sul territorio torinese, peraltro in totale contrasto con le direttive europee recepite dall’Italia nella Strategia nazionale di integrazione dei rom che dovrebbe concludersi nel 2020. (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52011DC0173&from=IT)   La Giunta del Comune di Torino, con Deliberazione del 4 aprile 2017 aveva disposto l’istituzione del “Progetto Speciale Campi Nomadi”. Il 15 febbraio 2018, l’esecutivo di Palazzo Civico vara la delibera che determina il “progetto speciale Campi Nomadi” con tempi di attuazione e obiettivi, tra cui quello finale del “superamento dei campi nomadi” come richiesto dall’Unione europea entro l’anno 2020. Ancora una volta senza interpellare né coinvolgere gli abitanti dei campi. Nell’aprile 2018 (5 aprile 2018) viene altresì votato un Regolamento delle aree di sosta attrezzate per Rom e Sinti e successivamente tre altre deliberazioni dettagliano le macro fasi del progetto. Il piano comunale coinvolge cinque assessorati (Welfare, Sicurezza, Ambiente, Istruzione e Decentramento) insieme a prefettura, autorità giudiziaria e forze dell’ordine, ed è diviso in due fasi. La prima, da completare entro il 2018, si concentra sulla pulizia e sulla legalità. La seconda sulla “inclusione sociale”. Il 16 dicembre 2019 viene sottoscritto il protocollo d’intesa per il “Progetto speciale campi nomadi” dalla Regione Piemonte, dal Comune di Torino, dalla Prefettura e dalla Diocesi. Le slide che descrivono il nuovo progetto a targa 5 stelle si riferiscono unicamente alle aree di sosta autorizzate: via Germagnano 10 Strada dell’aeroporto 235/25 via Lega 50 corso Unione Sovietica 655 Nel comunicato stampa del Comune si fa riferimento ad un totale di 769 persone (http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_249.shtml). Nella presentazione del progetto è evidente l’intenzione di non menzionare neppure le baraccopoli e campi non autorizzati così come il numero reale dei  suoi abitanti. Queste aree sono semplicemente da radere al suolo nel più breve tempo possibile nel silenzio e nell’invisibilità più assoluti. Le aree di sosta autorizzate invece, indicate nel progetto, si devono per l’ennesima volta trasformare (non certo superare) in zone di vita a scadenza in base al nuovo regolamento.  La produzione e riproduzione di forme di nomadismo forzato è alla radice di ogni nuovo progetto e regolamento comunale a guida 5 stelle. L’obiettivo è rendere ulteriormente precarie le condizioni abitative e di vita all’interno di insediamenti autorizzati che esistono da almeno 40-50 anni e che di nomade non hanno nulla.   Fonte: https://www.slideshare.net/ChiaraAppendino/progetto-speciale-campi-rom   Anche agli onori delle cronache cittadine salta il parallelismo con il progetto “La Città Possibile” e con lo sgombero del MOI. “Partendo dai risultati dei precedenti progetti di sgombero, come quello di lungo Stura Lazio, che ha coinvolto mille persone, si cercheranno nuove sistemazioni diverse dai campi sosta. Il Comune incaricherà poi un project manager, sul modello di quanto fatto all’ex Moi, per analizzare le situazioni degli abitanti dei campi e costruire percorsi di inclusione. A fronte di nuove regole da rispettare ci sarà per gli attuali occupanti un portafoglio di opportunità: l’inserimento in percorsi di cittadinanza, l’accompagnamento al lavoro e il sostegno nella richiesta della casa popolare”. (Torino Corriere) Il “Progetto Speciale Campi Nomadi” riafferma e normalizza ancora una volta pratiche apertamente segregative su base etnica verso le popolazioni rom e sinti in tema di diritto all’abitare e in situazioni di emergenza abitativa. Il nuovo Regolamento comunale dichiara di produrre “integrazione sociale” quando causa segregazione e nomadismo forzato. Inoltre inneggia al “ripristino della legalità e della sicurezza” con pratiche repressive e sanzionatorie che rendono le “aree sosta” molto simili ad istituzioni totali dove vivere a scadenza. Da segnalare che nel 2009 il report della European Union Agency for Fundamental Rights denunciava le politiche di varie regioni e comuni italiani – compresi il Piemonte e la Città di Torino – impegnate ad elaborare e far applicare leggi razziste e segregazioniste che sancivano la ghettizzazione spaziale dei nuclei rom in “campi nomadi” (termine tornato ora ampiamente in voga) e determinavano con regolamenti e leggi “speciali” la loro esclusione strutturale dall’accesso ad alloggi e case popolari: […] In Italia la politica ufficiale per quanto riguarda l’alloggio di Sinti e Rom (con o senza cittadinanza italiana) consiste nella costruzione di “campi nomadi” autorizzati dotati di case prefabbricate o roulotte. A partire dal 1984, 12 regioni italiane hanno promulgato leggi per la “protezione” delle popolazioni nomadi e della loro cultura e hanno istituito “campi nomadi” . [nota 173: Cfr., ad esempio, Regione Lazio, Legge Regionale N. 82 DEL 24-05-1985: Norme in favore dei rom, (10.06.1985) http://www.comune.torino.it/stranierinomadi/nomadi/normativa/regionale/lazio.pdf (30.10.2009)]. (Fonte:  FRA -La situazione dei cittadini comunitari Rom che circolano e soggiornano in altri Stati membri dell’UE, Novembre 2009, Comunità europee, 2009, p.60). “La Giunta del Comune di Torino, col Deliberazione del 4 aprile 2017 aveva disposto l’istituzione del “Progetto Speciale Campi Nomadi”64. L’anno successivo, con Deliberazione di Giunta del 15 febbraio 2018, l’Amministrazione aveva provveduto ad approvare il superamento degli insediamenti formali di via Germagnano e di Strada dell’Aeroporto prevedendo nel 2019 l’attivazione di percorsi di inclusione sociale e abitativa personalizzati, atti alla fuoriuscita dei nuclei dagli insediamenti. A fronte delle 150 persone censite nel 2018 nell’insediamento di via Germagnano, nella prima parte del 2019 risulta una presenza di 105 persone e, nel dicembre 2019 di una settantina di persone all’interno di 10 nuclei familiari. (…) Il “campo” è stato formalmente chiuso il 20 dicembre 2019” (Associazione 21Luglio, https://www.21luglio.org/2018/wp-content/uploads/2020/06/rapporto-annuale-web.pdf
Protocollo https://www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/protocollo_torino_superamento_campi_nomadi.pdf   Deliberazione di Giunta del 4 aprile 2017 n.01257/004 del Comune di Torino che ha disposto l’istituzione del “Progetto Speciale Campi Nomadi »: http://www.comune.torino.it/delibere/2017/2017_01257.pdf Corrispondenza radio : https://radioblackout.org/2019/12/ruspe-baraccopoli-rom-via-germagnano/ Articoli https://torino.corriere.it/politica/18_febbraio_16/appendino-entro-2020-addio-tutti-campi-rom-6a2cf84e-12fd-11e8-85f6-2959c6730474.shtml   Link e report: REGOLAMENTO DELLE AREE DI SOSTA ATTREZZATE PER ROM E SINTI (Mecc. 2017 03392/019 Allegato 1) http://www.comune.torino.it/consiglio/documenti1/atti/allegati/201703392_1tc.pdf REGOLAMENTO DELLE AREE DI SOSTA ATTREZZATE PER ROM E SINTI Approvato con deliberazione del Consiglio Comunale in data 4 aprile 2018 http://www.comune.torino.it/regolamenti/379/379.htm COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020/* COM(2011) 173 definitivo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52011DC0173&from=IT Altre lingue: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52011DC0173 PROGETTO SPECIALE CAMPI NOMADI. ATTUAZIONE    NUOVO REGOLAMENTO AREE SOSTA ATTREZZATE E CONSEGUENTI MODIFICHE ALLE AZIONI RELATIVE AGLI ANNI 2018/2019, Delibera 24 luglio 2018: http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2018/2018_03210.pdf “COMUNE DI TORINO. SEGREGAZIONE ABITATIVA, REGOLAMENTI E PROVVEDIMENTI SECURITARI” RAPPORTO ANNUALE – ASSOCIAZIONE 21 LUGLIO ONLUS, Anno 2017, p. 29: https://www.21luglio.org/21luglio/wp-content/uploads/2018/04/Rapporto_Annuale-2017_web.pdf PROGETTO SPECIALE CAMPI NOMADI. APPROVAZIONE MACROFASI, ARTICOLAZIONE  INTERNA.  AZIONI  RELATIVE  AGLI  ANNI  2018/2019.  SPESA  INIZIALE PRESUNTA DI EURO 250.000,00 http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2018/2018_00539.pdf Altri link: “Rom e Sinti: colpevoli di tutto”, 31 luglio 2018: http://www.labottegadelbarbieri.org/rom-e-sinti-colpevoli-di-tutto/ “Torre Maura e il ritorno del termine “nomadi” per indicare i rom” https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/torre_maura_e_il_ritorno_del_termine_nomadi_per_indicare_i_rom

2018 –  Attacchi di violenza razzista e xenofoba contro persone rom

Episodi di aggressioni  e attacchi violenti  ai danni di famiglie rom sgomberate da altre zone e costrette a spostarsi tra parcheggi e aree sosta.

A causa dei vari sgomberi decisi dal Comune di Torino molte famiglie si trovano a vivere in una condizione di nomadismo forzato e sono obbligate a spostarsi di continuo da una area sosta ad un’altra, da un parcheggio ad un altro, da una sistemazione precaria e provvisoria ad un’altra.

L’unico risultato certo di questa gestione discriminatoria da parte del Comune di Torino e di altre amministrazioni limitrofe è quello di esporre ancora una volta nuclei familiari a pericoli, attacchi violenti e manifestazioni di odio ai loro danni in varie zone della città. Oltre che a nuovi sgomberi.

 

Il 7 maggio 2018 nel quartiere di Mirafiori sud viene incendiato con il lancio di due molotov un camper parcheggiato davanti alla chiesa di via Negarville. Nel camper vivevano due famiglie rom che in seguito allo sgombero del 4 marzo 2018 dell’area di sosta autorizzata di Borgaretto (Comune di Beinasco), dove le famiglie avevano vissuto per anni, si erano spostate vicino alla chiesa sperando di essere al sicuro. Tra le 7 persone che vivevano nel camper incendiato 3 erano adulti e 4 minori. Testimoni oculari hanno raccontato che alcune persone a bordo di una macchina rossa hanno lanciato due bottiglie incendiarie contro il camper e poi sono scappate. Fortunatamente nessun abitante del camper è rimasto ferito.

Nei giorni precedenti gruppi di cittadini avevano espresso tramite social media la loro contrarietà alla presenza di persone rom in quella zona e in altri luoghi della città.

 

Nello stesso anno continuano scandali e polemiche intorno al progetto “La città possibile” e vengono rilasciate da parte di esponenti dell’attuale giunta comunale curiose dichiarazioni su dove siano andati gli immigrati romeni poveri, rom e non rom, di Torino in seguito ai numerosi sgomberi avvenuti nel corso del 2018, in particolare riguardo all’insediamento di Corso Tazzoli:

 

L’assessore alle Politiche sociali, Sonia Schellino, ha risposto questo pomeriggio, in Consiglio Comunale, ad una interpellanza generale (prima firmataria Deborah Montalbano) nella quale si chiedevano notizie in merito alla popolazione rom, all’indomani dello sgombero del campo di corso Tazzoli.

Schellino ha spiegato che quasi tutti gli ex abitanti del campo sono attualmente in Romania nelle loro abitazioni di residenza, ad eccezione di tre nuclei, per un totale di sette persone. La maggior parte degli abitanti, tutti romeni, in gran parte rom, aveva lasciato il campo con le proprie vetture e furgoni il 4 giugno, dopo essere venuti a conoscenza dell’ordinanza della sindaca emessa in seguito ai problemi di sicurezza rilevati dai vigili del fuoco dopo l’incendio che si era verificato.

“La comunità rom romena è caratterizzata da una costante mobilità da e verso il Paese di origine, ha aggiunto l’assessora, dove tutti hanno regolare residenza presso abitazioni di proprietà o in locazione. Ogni anno gran parte degli abitanti delle aree spontanee cittadine prolungano la loro permanenza in Romania per il periodo estivo.

Martedì 5 giugno nell’area erano presenti 12 adulti, nessun minore. La presenza dei camper segnalati in città, non è da collegare con lo sgombero del campo di corso Tazzoli, ma fanno parte di movimenti ciclici o stagionali che riguardano caminanti siciliani e rom bosniaci provenienti da altri comuni.

“Le persone residenti nel campo, ha concluso Schellino, non avevano camper. Non fa parte della consuetudine della comunità rom romena sostare con i camper nelle città e non ci sono segnalazioni della presenza di ex abitanti del campo di corso Tazzoli in altri insediamenti della città”.

Fonte: comunicato dell’ufficio stampa del Comune di Torino del 25 giugno 2018

 http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_517.shtml

 

In seguito allo sgombero una parte delle persone che vivevano da anni in corso Tazzoli si rifugiano in via Germagnano.

 

Nel corso del 2018 la polizia municipale cambia nome al “Nucleo Nomadi” che si trasforma in “Reparto informativo minoranze etniche”

 

http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_247.shtml

 

Nella colonna laterale si riportano i link delle comunicazioni dell’ufficio stampa del Comune di Torino a proposito della gestione dei campi “nomadi” presenti a Torino, l’approvazione del nuovo “Progetto Speciale Campi Nomadi” e altri documenti che riguardano i nuovi regolamenti che le persone Rom e Sinti devono rispettare per essere eventualmente “incluse” e temporaneamente accettate nelle “aree attrezzate autorizzate” :

 

[…] Tra le operazioni da svolgere durante la prima delle due macrofasi, da avviare e concludere nel corso del 2018, è prevista la realizzazione di un censimento delle attuali presenze nelle aree sosta attrezzate, da confrontare con l’elenco dei nuclei autorizzati in precedenza. Poi, una volta approvato il Regolamento ora al vaglio Consiglio comunale, si procederà alla sua attuazione con la raccolta delle domande presentate dalle famiglie che intendono permanere temporaneamente nei campi autorizzati e dimostreranno di essere in possesso dei requisiti richiesti.[…]

 

Fonte

http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_91.shtml

2018 – Attacchi violenti e razzisti – Link e reportage: https://www.lastampa.it/torino/2018/12/27/news/le-tracce-perdute-dei-nomadi-sgomberati-il-comune-non-sappiamo-dove-siano-1.34069578 Maggio 2018 – Attacco con molotov contro un camper nella periferia sud di Torino https://www.lettera43.it/torino-rom-molotov-attentato-camper-beinasco-borgaretto/ https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/14/rogo-camper-nomadi-torino-chi-tace-o-urla-dovevano-bruciare-non-e-migliore-di-chi-appicca-il-fuoco/4351346/ http://www.cronachediordinariorazzismo.org/un-camper-in-fiamme-a-torino-se-alcune-vite-sono-meno-importanti-di-altre/ http://www.torinoggi.it/2018/05/08/ leggi-notizia/argomenti/cronaca-11/articolo/a-fuoco- un-camper-di-nomadi-in-via-roveda.html   Pagine di alcuni “gruppi di cittadini” contro il “degrado” dai contenuti chiaramente razzisti e xenofobi, legati evidentemente a seconda dei territori a gruppi di Casa Pound, Forza Nuova e altro: “Circoscrizione 2 – Basta degrado”: https://www.facebook.com/Circoscrizione-2-Basta-degrado-198964580712233/ “Basta camper abusivi a Torino” https://www.facebook.com/Basta-camper-abusivi-a-Torino-379121252580908/?ref=py_c&eid=ARAJCt_Qycx-zReqdXRU7_81uKiRQ7Xt2ZwudvLUBn3X_V1EPQ5qMGGPfS_oI18PJzgn5ZbmN7tM8RKJ “NO SUK a Torino” https://www.facebook.com/NO-SUK-a-Torino-365252450549290/   Sulla modifica del nome dell’ “Ufficio nomadi” della polizia municipale di Torino: https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/04/04/news/torino_il_comandante_in_commissione_i_vigili_non_possono_risolvere_tutti_i_problemi_della_citta_-192943329/?refresh_ce   Sullo sgombero di corso Tazzoli: http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_445.shtml http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_451.shtml http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_517.shtml Sul nuovo “Progetto speciale campi nomadi” di Torino e sui nuovi regolamenti http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_91.shtml http://www.comune.torino.it/ucstampa/2018/article_249.shtml

8 Novembre 2019

La giunta regionale del Piemonte approva il nuovo disegno di legge “Norme in materia di regolamentazione del nomadismo e di contrasto all’abusivismo”

Oltre al nuovo REGOLAMENTO DELLE AREE SOSTA ATTREZZATE PER ROM E SINTI è necessario menzionare anche il nuovo disegno di legge a firma leghista, presentato dall’assessore alla sicurezza della Regione Piemonte Ricca, denominato “Norme in materia di regolamentazione del nomadismo e di contrasto all’abusivismo” che è stato approvato dalla Giunta regionale l’8 novembre 2019. La legge, da molti giuristi ritenuta discriminante e anticostituzionale, è stata approvata ma non implementata. Il disegno di legge regionale risulta molto simile al REGOLAMENTO DELLE AREE SOSTA ATTREZZATE PER ROM E SINTI approvato dalla giunta comunale a 5 stelle.   In particolare la nuova legge regionale prevede che in queste nuove “aree di transito” siano concessi al massimo tre mesi di permanenza e che per autorizzare l’accesso sia necessario soddisfare requisiti di idoneità morale. È inoltre previsto un sistema di videosorveglianza in tutte le aree. Analizzando il nuovo regolamento del comune di Torino e la nuova legge regionale risulta più che mai evidente quanto il processo di etnicizzazione e criminalizzazione delle popolazioni dei campi serva alla propaganda politica e a raccogliere qualche manciata di voti alimentando una crescente richiesta securitaria. Leggi, regolamenti e sgomberi continui come quelli voluti e attuati dalla Città di Torino, oltre che complicare ulteriormente la vita di migliaia di persone già in condizioni molto precarie, confermano un profondo e radicato razzismo differenzialista da parte delle istituzioni, fomentano il proliferare di discorsi violenti e di criminalizzazione delle popolazioni rom e aumentano la progressiva militarizzazione di ogni spazio in cui vengono segregate. Proprio in funzione di queste logiche, che pagano in termini di voti e opinione pubblica senza per altro risolvere alcun problema, si vogliono creare nuovi campi (con la nuova legge regionale) o ristrutturare campi nomadi regolari rendendoli molto simili a istituzioni totali. Bruxelles, Roma, 26 novembre 2019: la Giunta regionale del Piemonte ha presentato un disegno di  legge che introduce delle regole draconiane per i rom che vivono nei “campi” formali della Regione. Associazione 21 Luglio, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e il Centro  Europeo  per  i  Diritti  dei  Rom  (ERRC)  considerano  discriminatorie  le  misure  incluse  in questo disegno di legge oltre a rappresentare un’ulteriore violazione dei diritti umani per i rom che vivono nei cosiddetti “campi nomadi” in Italia.   Il disegno di legge intitolato “Norme in materia di regolamentazione del nomadismo e di contrasto all’abusivismo” è stato approvato dalla Giunta l’8 novembre 2019 dopo essere stato presentato dalla Lega, formazione politica che controlla quasi la metà dei seggi nel consiglio. Il disegno di legge mira all’abolizione dei “campi rom” formali, senza fornire percorsi di inclusione adeguati, né alternative abitative. Il disegno di legge stabilisce inoltre che i cittadini rom potranno rimanere nelle “aree di transito” formali per un periodo massimo e non superiore ai tre mesi. Questa misura impone de facto il nomadismo su una fascia di popolazione rom già di per sé vulnerabile e socialmente fragile e su delle comunità rom che nella maggior parte dei casi non sono definibili come “nomadi”, se non nei soli casi in cui risultano oggetto di sgombero forzato.[…]   Fonte : “Piemonte, la nuova proposta di legge contro i campi rom in Italia è razzista e illegale” – Comunicato stampa di Associazione 21 Luglio,  Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI)  e il Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC), 27 novembre 2019,   https://www.asgi.it/notizie/piemonte-legge-rom-discriminatoria/   “(…) contrariamente alla Calabria, il Piemonte ha una lunga tradizione di legislazione sul tema. Un primo approccio all’argomento è del 1993, con l’emanazione di una specifica Legge contenente “Interventi a favore della popolazione zingara”, n. 26 del 10 giugno(10). Diverse sono state le applicazioni, spesso ambivalenti, che si sono susseguite nel corso degli anni. Fino all’8 novembre 2019, quando è stato, appunto, approvato il disegno di legge rubricato “Norme in materia di regolamentazione del nomadismo e di contrasto all’abusivismo”. La proposta è dell’Assessore alla Sicurezza Fabrizio Ricca (Lega) e si prefigge la chiusura dei campi “stanziali e formali” e un conseguente divieto di transito sul territorio nazionale per un periodo superiore ai tre mesi. Allo sgombero forzato, però, non è previsto segua alcun percorso alternativo di inclusione né nuove soluzioni abitative. Il disegno di legge presenta inoltre numerose misure discriminatorie nei confronti della comunità rom, sommata all’evidente violazione di diritti umani: le nuove “aree di transito” sarebbero accessibili solo a chi dichiari le proprie generalità e sia in possesso di una speciale smart-card. Inoltre, al fine di poter accedere ad un alloggio permanente, sarà obbligatoria l’applicazione di microchip agli animali domestici e la presentazione ai pubblici uffici di documenti di immatricolazione e assicurazione dei veicoli di proprietà, requisiti però non richiesti per il medesimo fine ai “non rom”. Le aree di transito esposte nel disegno di legge saranno infine monitorate mediante impianti di sorveglianza e verranno allontanati dalle stesse coloro che rifiuteranno una proposta di inserimento lavorativo o qualora venga registrata una frequenza scolastica irregolare dei bambini(11). La proposta di legge della Giunta piemontese appare dunque di dubbia legittimità costituzionale e internazionale. Da molte parti viene infatti evidenziata la violazione dell’articolo 120 comma 1 della Costituzione italiana, che vieta alle Regioni di adottare provvedimenti che ostacolino la libera circolazione ed il soggiorno delle persone, nonché il loro lavoro. Si fa inoltre riferimento a controlli, sanzioni e modalità di sorveglianza contrari a quanto disposto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’uomo, il cui principio di non discriminazione è pilastro fondamentale, anche e soprattutto, in tema di protezione delle minoranze(12).   Il Disegno di Legge è divenuto dunque rapidamente oggetto di contestazioni poiché, oltre a non soddisfare le esigenze della popolazione rom stanziata sul territorio piemontese, ne alimenta l’esclusione e la ghettizzazione.” Fonte: https://www.rapportodiritti.it/rom-e-sinti

2019-2020

Continuano gli sgomberi quotidiani, anche durante il lockdown per il Covid, nella baraccopoli “non autorizzata” di via Germagnano, dove vivevano molte persone sgomberate da Lungo Stura Lazio

Così, dopo lo sgombero manu militari della baraccopoli di corso Tazzoli, che esisteva da almeno 15 anni, dopo quello di via Reiss Romoli, dopo  la “chiusura” del campo rom istituzionale di Via Germagnano 10, dopo le “bonifiche” (termine quanto mai evocativo) in Strada dell’Aeroporto e innumerevoli altri luoghi – gestite tramite dispositivi di più o meno ordinaria amministrazione – il “Progetto speciale campi nomadi” sottoscritto nel dicembre 2019 dalla Regione Piemonte, dal Comune di Torino, dalla Prefettura e dalla Diocesi, dispone di radere al suolo il “campo rom” di Via Germagnano, probabilmente il più grande di Torino da quando l’amministrazione PD sgomberò la baraccopoli di Lungo Stura Lazio con quel progetto di maquillage della storia chiamato “La città possibile”. Dopo la distruzione di una parte della baraccopoli nei mesi scorsi, nemmeno la pandemia globale ha frenato la furia annientatrice della governance istituzionale, nel silenzio generale della città: da qualche settimana le ruspe hanno ripreso a radere al suolo il campo, giorno dopo giorno, lasciando molte persone povere, spesso senza documenti e quindi senza possibilità di un accesso non-emergenziale all’assistenza sanitaria, senza nemmeno più un tetto sulla testa. I punti ciechi alla base della Democrazia e dello Stato di Diritto si governano con la Polizia. Spaccano le baracche, sfollano i poveri, cancellano le memorie. Con il solito, congruente, business economico. Come si legge in due note di alcunx solidalx: “(…) Migliaia di persone, a Torino, che riuscivano a sopravvivere grazie alle attività informali legate al mercato di via Carcano e del Balon o a quello di Porta Palazzo, si trovano da due mesi in condizioni devastanti. In questo contesto, il Comune pensa bene di abbattere le baracche che per i residenti di Via Germagnano significano da anni, spesso da decenni, l’unica possibilità di casa possibile. Le conseguenze umane, sanitarie e materiali causate da questa come da altre miserabili decisioni politiche di questi tempi, continuano ad essere pagate dai settori di popolazione più poveri già strutturalmente esclusi, sfruttati e razzializzati.”   22 aprile Sequestro di 10 baracche in via Germagnano a Torino. Questa mattina 22 aprile 2020 la polizia municipale del Comune di Torino ha posto i sigilli a 10 baracche nel campo rom di via Germagnano. 6 baracche sono temporaneamente disabitate perché le famiglie residenti sono bloccate in Romania da due mesi per le restrizioni dovute al Covid-19. 4 invece erano abitate. Una è dimora di una signora di 60 anni, in un’altra vive una giovane donna. Entrambe al momento del sequestro stavano cercando del cibo nel mercato di zona. Un’altra baracca è abitata da un ragazzo che al momento del sequestro non si trovava nel campo ma nelle vicinanze. L’unico presente al momento della comparsa degli agenti era un uomo, parente della famiglia registrata come abitante di quella baracca. Dato che il suo nome non compariva nel registro degli agenti della municipale è stato fatto uscire e la baracca sigillata. Le 10 baracche, secondo quanto comunicato dalla polizia municipale alle persone del campo, saranno demolite domani 23 aprile 2020. Ricordiamo che dal momento in cui è entrato in vigore il d.p.c.m. del 9 marzo scorso le restrizioni imposte alla popolazione in termini di possibilità di movimento sono state durissime e hanno colpito in modo particolarmente feroce quelle persone che si trovavano già in condizioni economiche ed abitative estremamente precarie.  (…)   23 aprile Nel campo di via Germagnano ci sono al momento circa 370 persone. Gli agenti vanno e vengono di continuo per controllare “baracche piene / baracche vuote”. Oltre al terrore dei controlli le persone non possono uscire per andare ai bidoni o per cercare cibo nei mercati di zona o chiedere cibo davanti ai supermercati (unici modi per poter mangiare). Se lo fanno, ed è successo a molti, prendono multe di oltre 400 euro e denunce penali per violazione del d.p.c.m. Intanto la demolizione delle baracche, vuote a quanto sostengono gli agenti della polizia municipale, andrà avanti. Anche in questo momento. Oggi una signora di 60 anni è stata fatta rientrare nella sua abitazione dopo che ieri erano stati apposti i sigilli. Altre 3 persone sono state lasciate senza un tetto. A parte repressione e distruzione nessun aiuto dal Comune, nessun intervento dei Servizi sociali, nessuna alternativa abitativa. La gente che vive nei campi e quella che vive nei camper sta affrontando condizioni durissime per poter riuscire a mangiare.   12 maggio “Aggiornamento da via Germagnano – Torino” Questa mattina il Comune ha dimostrato ancora una volta il profondo disprezzo e l’assoluta indifferenza che nutre verso le persone povere di questa città. Persone in difficoltà, senza casa, spesso senza documenti, senza alcuna possibilità di muoversi e di lavorare nel bel mezzo di una pandemia. Ancora una volta le miserabili decisioni comunali sono delegate in tutto e per tutto alla Questura, alle forze dell’ordine, ai blindati e alle ruspe. Nessunx del Comune mostra la faccia ma continua una feroce gestione di corpi e di vite che evidentemente non contano, che vanno cacciati, spostati, confinati e soprattutto disciplinati. Questo è il loro decoro. Di sicuro qualche triste figura del consiglio comunale spera  in una sparizione collettiva. Ma le persone povere che vivono nei campi, nelle baraccopoli o per strada non scompaiono affatto e trovano per le strade, nelle persone solidali e nei pochi mezzi di controinformazione di questa città uno spazio per raccontare con tenacia ciò che accade, per continuare a lottare e mostrare quello che viene fatto alle loro vite e agli spazi che abitano, o che vengono distrutti, ogni singolo giorno. Questa mattina, mentre venivano sgomberate in Piazza Palazzo di Città decine e decine di persone che resistevano davanti al Comune da 8 giorni buttate per strada dopo la chiusura del “Punto Emergenza Freddo” di Piazza d’Armi, sono arrivate le ruspe a distruggere le famose baracche – per niente “vuote” – del campo di via Germagnano, sequestrate qualche giorno fa, quando le misure di confinamento erano ancora più rigide. Da quel giorno varie persone del campo sono rimaste senza casa. Questo è il loro decoro. Infinita è la nostra rabbia.”   Il 22 maggio alle 4 del mattino la polizia municipale è entrata nel campo di via Germagnano. Gli agenti hanno svegliato tutte le persone che stavano dormendo e hanno sequestrato e messo i sigilli ad altre baracche. In piena pandemia la situazione che il Comune sta creando e aggravando giorno dopo giorno è a dir poco incredibile e vergognosa. Al momento le persone che vivono nel campo sono spaventate e la polizia è ancora lì.

2019-2020

Ancora sull’utile dispositivo del sequestro da parte della Procura (questa volta per disastro ambientale) per sgomberare centinaia di persone malgrado l’emergenza sanitaria per Covid-19, senza alcun piano e nessuna alternativa abitativa da parte del Comune di Torino

Il pretesto per la giunta 5 stelle utile a compiere la grande distruzione di via Germagnano, senza alcun piano e nessuna alternativa abitativa se non per la piccola parte di abitanti del campo autorizzato di via Germagnano 10, è dato dall’ennesimo sequestro dell’area delle baraccopoli (così come avvenne nel caso di Lungo Stura Lazio) da parte della Procura in seguito alla dichiarazione di disastro ambientale del p.m. Padalino firmata a seguito di una serie di rilievi dell’Arpa (dal 2014 al 2016) che non attribuiscono in nessun momento agli abitanti delle baraccopoli di Via Germagnano la responsabilità degli alti livelli di inquinamento (le esalazioni dei famigerati “roghi” per cui “comitati” e abitanti dei quartieri avevano richiesto le verifiche) , ma l’area stessa risulterà  oggetto di stagnamento di immisioni inquinanti sia per la sua particolare conformazione – le sponde del fiume si trovano sotto il livello della città – che per la presenza decennale di complessi produttivi e industriali poco distanti. Per un maggior approfondimento sul tema del “disastro ambientale” in via Germagnano consultare il lavoro “Fuori dai margini. L’abitare formale ed informale nell’area di Via Germagnano a Torino”, Matilde Cembalaio, settembre 2019, https://webthesis.biblio.polito.it/11935/1/tesi.pdf   Mentre sul tema del sequestro per procedere senza problemi con gli sgomberi forzati si può consultare in questa cronologia  Maggio 2013 “Uno sgombero umanitario” sul caso di sequestro della baraccopoli di Lungo Stura Lazio, funzionale allo sgombero forzato di centinaia di persone rimaste fuori dal progetto “La città possibile” e per cui non esisteva alcuna alternativa abitativa. In quel momento il decreto di sequestro era dettato dalle “preoccupazioni di carattere umanitario” per un campo rom la cui occupazione di fatto è stata “tollerata” per almeno 15 anni. Ecco che, malgrado le preoccupazioni, l’area viene sequestrata solo quando i fondi del ministero degli Interni (5.193.167,26 euro) sono sicuri. Prima nessuno aveva manifestato grandi preoccupazioni per una zona altamente alluvionale. Ricordiamo inoltre che “ Quella zona – racconta Secondo Massano, presidente dell’associazione Opera Nomadi – è sempre stata usata come discarica a cielo aperto fin dagli anni Settanta». A inizio anni Novanta la Giunta Castellani la scelse per la costruzione di un campo rom, senza dare seguito alle richieste di analisi presentate dall’opposizione. «In quei terreni erano stati seppelliti illegalmente rifiuti tossici industriali. Era già una piccola terra dei fuochi quando vennero approvate le delibere» dice Marco Revelli, al tempo consigliere comunale. I carotaggi non vennero mai eseguiti, e nel 2004 l’amministrazione Chiamparino inaugurò le trentadue casette che ospitarono le famiglie bosniache sgomberate dal campo di strada dell’Arrivore. “ [Fonte: Enrico Mugnai, Rom, Cronache dal dopo-campi, 1 giugno 2017, Il Manifesto, disponibile all’indirizzo https://ilmanifesto.it/rom-cronache-dal-dopo-campi/ ] E’ bene chiarire che in via Germagnano le persone povere, rom e non rom, sono state ghettizzate e segregate a partire dall’inizio degli anni ’90 secondo indicazioni del Comune di Torino e come conseguenza di continui sgomberi da altri insediamenti in diverse zone della città da parte delle forze dell’ordine.  A partire dalla fine degli anni ’90, con l’arrivo di un maggior numero di persone migranti dalla Romania, sono le stesse autorità comunali e forze dell’ordine che danno indicazione a chi viene sfollatx e sgomberatx da altri insediamenti di andare a vivere in via Germagnano. Nel momento in cui inizia, come massima espressione del “Progetto Speciali Campi Nomadi” della giunta 5 stelle, il piano di distruzione totale delle baraccopoli, molti degli abitanti affermano e ricordano in video e interviste di aver vissuto in quella zona per 10, 15, 20 anni. Nessunx persona si è “autoghettizzata” in via Germagnano ma i soggetti “rom” o “nomadi”, a seconda dell’etichetta che è stata loro attribuita nel corso del tempo, vengono segregati e “concentrati” in via Germagnano secondo un governo preciso di corpi e di spazio, attraverso un asfissiante controllo poliziesco. Altre persone sono costrette a cercare lì rifugio, costruendo una baracca, perché sgomberate da altri campi, per esempio in seguito allo sgombero forzato della baraccopoli di Lungo Stura Lazio nel corso del 2015. Parliamo del raddoppiamento del numero di abitanti del campo “non autorizzato” di via Germagnano nel giro di pochi mesi. E’ importante sottolineare ancora una volta il nucleo del dispositivo discriminatorio e di ghettizzazione applicato alle popolazioni rom e povere, in particolare provenienti dalla Romania. Riportiamo di seguito un passaggio dell’introduzione di questa cronologia:   << ll dato più significativo, relativamente alla presenza migrante rom romena a Torino, è come essa – che gli amanti delle tassonomie potrebbero definire composta da migranti economici, esattamente come la maggior parte del resto della popolazione con cittadinanza romena – venga invece riassorbita all’interno della narrazione del nomadismo, proprio sulla base della genealogia del discorso pubblico intorno al campo come forma abitativa adatta ai rom, essenzializzati come “nomadi” e dunque, intrinsecamente, “criminali”. Prendendo in prestito le parole di N. Sigona, questo meccanismo può riassumersi nei seguenti passaggi: “i nomadi, tutti e indistintamente, sono criminali per natura, pertanto è normale che siano oggetto di controlli indiscriminati da parte delle forze di polizia. E qui entra in gioco il terzo elemento: il campo-nomadi – il luogo per eccellenza dove vivono i nomadi – è funzionale a tenere questi criminali sotto controllo. Fine riassunto.” (Sigona N., 2007, “Lo scandalo dell’alterità: rom e sinti in Italia”, in Bragato e Menetto, Nuova Dimensione, pp. 17-32) >>

Luglio – Agosto 2020

La “grande” distruzione delle baraccopoli di via Germagnano

Luglio 2020 A luglio 2020 sono già moltissime le persone e famiglie sgomberate e sfollate da via Germagnano che cercano di sopravvivere sparse negli interstizi della città, dormendo in camper, su un materasso buttato in strada, sotto un ponte, sotto i portici. Agosto 2020 In pieno agosto 2020 – mentre la miserabile campagna elettorale a 5 stelle ormai è partita e per le amministrative il superamento dei “campi rom”, cioé di fatto la cancellazione dei loro abitanti dalla faccia della città, deve superare sia a destra che a sinistra qualsiasi altra forza politica – la distruzione delle baraccopoli in via Germagnano è continua, feroce e sistematica. Il Comune per sgomberare definitivamente chi non vuole “sparire” obbliga in concreto gli ultimi abitanti a ricevere la cifra di 1000 euro (per nucleo famigliare) in cambio della firma di una “Dichiarazione”. Tale foglio indica, in modo insultante e ridicolo per persone che per decine di anni non hanno mai avuto accesso al mercato privato degli affitti ma solo ad una baracca,  che i 1000 euro dovrebbero servire per
  1. Pagamento caparra e spese iniziali per ingresso autonomo in civile abitazione
  2.  Sostegno economico al rientro in Romania: tale cifra copre i biglietti di viaggio o i costi con la vettura propria. Il restante risulta un supporto economico all’arrivo.
Il dichiarante si impegna pertanto: –        Ad abbandonare definitivamente il rifugio di fortuna n° —- ubicato del campo spontaneo denominato “Germagnano Abusivo” per consentire la demolizione contestualmente al ritiro dell’incentivo; –        Ad abbandonare definitivamente l’area oggetto del decreto di sequestro preventivo ubicata in via Germagnano. Tutte le persone residenti in via Germagnano sono costrette a firmare questa dichiarazione perché viene detto loro che in ogni caso le loro baracche verranno distrutte e che non esiste alcuna alternativa abitativa ma solo lo sgombero e la distruzione. Da sottolineare che le persone che erano già state sgomberate più volte da altri campi e baraccopoli, o coloro che in passato avevano ricevuto qualche tipo di sostegno o nessun sostengo nell’ambito del progetto “La città possibile”, non hanno avuto diritto ai 1000 euro, al massimo a 400 (sempre per nucleo famigliare). All’inizio di agosto, quando inizia l’operazione di 1000 euro a cambio di una firma per sparire, il Comune continua a non presentarsi, alle persone non viene spiegato nulla di quello che succedendo ma viene detto loro solamente di presentarsi per  firmare la “dichiarazione” su un tavolino di plastica posto di fronte ad un camper (non si sa se del Comune o di chi) all’entrata delle varie baraccopoli. Le persone preposte alla firma di tali fogli si presentano in uniforme parasanitaria con mascherine e non si identificano né si presentano alla popolazione. La polizia municipale anche in questo caso media qualsiasi rapporto con non si sa quali autorità, gestisce corpi, dà ordini e organizza i turni delle persone in base al numero delle baracche. Viene chiamato, uno alla volta, il “capofamiglia”. Dato che inizialmente c’è tensione e le persone non capiscono cosa stia succedendo  (il 4 agosto con l’arrivo di questo camper misterioso, gli agenti della municipale e non si sa bene chi del Comune, dato che nessuno parla o si presenta ufficilamente, dicono alle persone che si tratta di un nuovo “censimento”) viene addiruttura chiamato uno dei pastori della chiesa pentecostale, presente da anni nel campo zona secondo ponte e ora già distrutta come il resto delle baracche, che con un megafono cerca di ordinare alle persone di mettersi in fila per l’ennesimo censimento. La scena all’inizio della mattina del 4 agosto ha qualcosa di fortemente surreale. Ribadiamo che nessuno del Comune si è mai presentato alla popolazione spiegando cosa stesse succedendo, cosa sarebbe accaduto da lì a poco o perché le persone avrebbero dovuto firmare quella “dichiarazione”. Rimane inoltre non rivelata (ufficilamente) la provenienza dei fondi utilizzati a cambio della sparizione delle persone e della distruzione delle baracche. Nuovamente si è osservata la sola e unica gestione di polizia e la totale mancanza di interlocuzione con gli abitanti di via Germagnano. Nel corso della mattinata anche il pastore della chiesa pentecostale smette di collaborare di fronte all’ennesimo oltraggio e alla totale mancanza di rispetto nei confronti della persone che erano riunite in attesa di un incontro con qualche rappresentante delle istituzioni e che per questo motivo non si erano recate neppure al lavoro. Un altro elemento cruciale, ma che è stato totalmente ignorato dalle istituzioni torinesi (a differenza di Roma, dove gli sgomberi sono stati sospesi) riguarda l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia Covid-19 che, secondo il decreto d.p.c.m. del 17 marzo 2020, determina il prolungamento delle direttive di sospensione di sgomberi e sfratti fino al 31 dicembre 2020 [ LEGGE 17 luglio 2020, n. 77 – GAZZETTA UFFICIALE, Art. 17 bis, Proroga della sospensione dell’esecuzione degli sfratti di immobili ad uso abitativo e non abitativo, 1. Al comma 6 dell’articolo 103 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, le parole: «1° settembre 2020» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2020». ] In merito alla proroga di sospensione di sfratti e sgomberi del decreto legge e per altri svariati motivi varie associazioni nazionali inviano una lettera alle autorità e istituzioni della città e della regione. Anche l’avvocato Gianluca Vitale invia un esposto per chiedere il blocco delle operazioni di sgombero a tutte le istituzioni della città ma la distruzione prosegue nell’indifferenza e nel silenzio più generale. Da parte delle autorità non viene fornita alcuna risposta. Nell’agosto 2020 il razzismo differenzialista delle istituzioni torinesi raggiunge dei livelli mai visti prima. Tutta l’operazione di cancellazione di persone e di distruzione della baracche passa nell’invisibilità e nel silenzio più assoluti, in particolare da parte dei media locali che si scateneranno, così come la giunta al potere, non appena i corpi e le vite saranno spariti dall’orizzonte. Il livello di oltraggio e di disprezzo dimostrato verso la vita delle persone che vivevano da anni, o da decenni, in via Germagnano è rivoltante e la maggior parte della distruzione dell’insediamento più grande avviene nella settimana di Ferragosto (dal 14 al 21 aogosto) perché nulla deve essere visto né mostrato. I rom e i poveri delle baraccopoli devono solamente sparire. Si stima che vengano buttate per strada in meno di un mese più di 200 persone. Chi viene sgomberatx si accampa dove può. Il 1 settembre un “blitz” della polizia municipale sgombera proprio in Piazza d’Armi, dove a maggio erano state buttate per strada le persone del “Punto Emergenza Freddo”, decine di persone che si erano accampate con le tende perché appena sgomberate da via Germagnano oltre ad altre persone senza casa. In merito allo sgombero di via Germagnano la comunicazione dell’amministrazione comunale non parla di persone buttate per strada ma cita unicamente le operazioni di pulizia e bonifica della zona e la rimozione di rifiuti. Sulla stessa scia molti giornali e media locali non parlano di persone ma esclusivamente dei numeri di animali che girano ancora tra le macerie. Molte persone e famiglie si disperdono per la città cercando luoghi in cui poter stare, anche solo per qualche giorno, invisibili e nascosti. Non mancano nuove occupazioni di piccoli terreni e di appartamenti vuoti di proprietà ATC. Molte persone perdono tutto con la distruzione della baracca o della roulotte in cui avevano vissuto per anni, le conseguenze dello sgombero provocano ancora una volta nomadismo forzato, impossibilità di frequenza scolastica per i minori, danni materiali e profonda sofferenza per un grande numero di persone.

2019 – 2020

Da Lungo Stura a via Germagnano: la sistematica guerra ai poveri del Comune di Torino

Un report di Amnesty International raccoglie alcuni casi di violazione dei diritti umani e sociali causati da sgomberi forzati e dalle politiche di razzismo istituzionale adottate dalla Città di Torino: dal progetto speculativo  la “La città possibile” voluto dal PD fino agli ultimi sgomberi forzati della giunta 5 stelle in via Germagnano (insediamenti informali): COLLECTIVE COMPLAINT: Amnesty International against The Italian Republic, EUROPEAN COMMITTEE OF SOCIAL RIGHTS – COMITÉ EUROPÉEN DES DROITS SOCIAUX, 25 March 2019, Case Document No. 1, Complaint No. 178/2019 : 5.5 TORINO LUNGO STURA LAZIO E VIA GERMAGNANO, FEBBRAIO 2015 –JGIUGNO 2017   172. A partire dal 26 febbraio 2015 e proseguendo per il mese successivo, le autorità municipali di Torino hanno proceduto alla chiusura dell’insediamento informale del Lungo Stura Lazio. All’epoca circa un migliaio di rom, per lo più cittadini romeni, vivevano nell’insediamento lungo le rive del fiume Stura. 173. Il comune ha istituito un programma per facilitare il trasferimento dei residenti in alloggi alternativi utilizzando criteri non divulgati. Di conseguenza, a circa 400 persone non è stato offerto alcun alloggio alternativo. Tra questi c’erano individui vulnerabili, come minori, donne in gravidanza, anziani e persone con disabilità. Molte di queste famiglie hanno trovato rifugio nell’insediamento informale di Germagnano (…), dove le autorità hanno demolito diverse case nel giugno 2017. 174. Secondo le autorità locali, circa 600 rom, molti dalla Romania e altri, compresi i rifugiati dell’ex Jugoslavia, vivono nell’insediamento informale di lunga data di via Germagnano. Nel settembre 2016, un decreto giudiziario ha ordinato il sequestro del terreno su cui si basa l’insediamento, per motivi di occupazione illegale e rischio ambientale. Sebbene il decreto non abbia ordinato lo sfratto delle famiglie, nel giugno 2017, Amnesty International ha documentato la demolizione di sette case, rendendo le famiglie senza tetto. Le autorità municipali hanno affermato di aver demolito solo le case che erano state abbandonate per almeno sette giorni, ma secondo le informazioni raccolte da Amnesty International, in almeno sette casi, le case che erano state demolite erano ancora abitate dai loro residenti, comprese donne in gravidanza, neonati e anziani. Queste famiglie sono rimaste senza tetto e sono state distrutte le loro cose, inclusi documenti personali, vestiti per bambini, medicine e altri beni. Le famiglie che erano rimaste senza tetto venivano ospitate da amici e parenti, trasferite in altri luoghi in rifugi improvvisati o rimpatriate in Romania. Molti residenti hanno detto ad Amnesty International che non volevano lasciare le loro case nemmeno per andare dal dottore, per comprare cibo o portare i loro bambini a scuola, per paura di tornare e trovare le loro case demolite. Le autorità non hanno fornito adeguata comunicazione a nessuna delle famiglie, né hanno svolto un’autentica consultazione per esplorare e identificare alternative adeguate per le famiglie, compresi alloggi adeguati e adeguati. In un incontro con Amnesty International, le autorità municipali hanno dichiarato che l’unica alternativa possibile sarebbero stati i dormitori, ma quelli sarebbero disponibili solo per un numero limitato di donne e bambini. Fonte: https://rm.coe.int/cc178casedoc1-en/168093aac2
Link a report: Amnesty International COLLECTIVE COMPLAINT: Amnesty International against The Italian Republic, EUROPEAN COMMITTEE OF SOCIAL RIGHTS – COMITÉ EUROPÉEN DES DROITS SOCIAUX, 25 March 2019, Case Document No. 1, Complaint No. 178/2019  https://rm.coe.int/cc178casedoc1-en/168093aac2   Altro report ERRC del 2000 “ Il paese dei campi. La segregazione razziale dei Rom in Italia”: https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwj7wonay9LrAhUMO8AKHQvOD98QFjAAegQIBRAB&url=https%3A%2F%2Fsfi.usc.edu%2Fsites%2Fdefault%2Ffiles%2Froma-sinti%2Fassets%2Fgallery%2FII.1.B_ALLEGATO_2.pdf&usg=AOvVaw0rLUD6tZbqnpsHrVMtpM9z FRA (European Union Agency for Fundamental Rights) -La situazione dei cittadini comunitari Rom che circolano e soggiornano in altri Stati membri dell’UE, Novembre 2009, Comunità europee, 2009, pp. 60 – 61 “La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, alle condizioni e ai limiti applicabili al diritto dell’Unione su cui si fondano e che sono fissati nei trattati, “riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali” (articolo 34). Il diritto all’alloggio è articolato meno chiaramente, ma l’accesso all’alloggio tra i Rom di altri Stati membri si svolge nel contesto di un’infrastruttura più ampia dei diritti all’alloggio. I cittadini comunitari Rom legalmente residenti hanno il diritto di essere trattati alle stesse condizioni dei cittadini nazionali per quanto riguarda l’alloggio pubblico o sociale o i sussidi associati. Tuttavia, i cittadini comunitari Rom senza certificati di registrazione, laddove richiesto, hanno raramente accesso all’assistenza abitativa e spesso finiscono in situazioni abitative emarginate. In Italia la politica ufficiale per quanto riguarda l’alloggio di Sinti e Rom (con o senza cittadinanza italiana) consiste nella costruzione di “campi nomadi” autorizzati dotati di case prefabbricate o roulotte”. A  partire  dal  1984,  12  regioni  italiane  hanno  promulgato  leggi  per  la  “protezione”  delle  popolazioni  nomadi  e  della  loro  cultura  e  hanno  istituito  “campi  nomadi”.  Altri  Rom,  soprattutto  quelli  provenienti  dalla  Romania,  costruiscono  baracche  o  piantano  tende  in  insediamenti  illegali  o  vivono  in  case  occupate  o  fattorie  abbandonate  da  cui  vengono  spesso  espulsi  con  la  forza:  “A  Milano,  negli  ultimi  due  anni  è  in  atto  una  politica  di  continue  espulsioni,  rivolte  per  lo  più  alla  comunità  dei  Rom  romeni, senza annunci ufficiali e alternative praticabili. […] C’è una politica del terrore.   Ogni   mattina   la   polizia   arriva   e   minaccia   i   Rom   dicendo   che   distruggeranno tutto”. https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/705-090210-roma-movement-comparative-final_it.pdf